Il Pd avrà due capogruppo donna. Enrico Letta, dopo una giornata fatta di incontri e discorsi alle truppe, è ottimista.
“Unità non è unanimità”, ripete incontrando i deputati prima e i senatori poi. Chiede “sincerità totale” e un confronto “franco” il segretario: “Non c’è niente di male se i gruppi si confrontano e competono su un nome”. Il leader incassa il passo indietro di Graziano Delrio. “La sfida di Enrico e del Pd per la parità di genere è la mia sfida. Per questo mi faccio da parte per una soluzione che porti una donna alla guida dei deputati Pd” dice l’ex ministro, accettando di collaborare alla fase ‘istruttoria’ che nei prossimi giorni dovrà portare alla quadra su un nome.
A palazzo Madama la situazione è più ingarbugliata. Andrea Marcucci non vuole “imposizioni” rispetto al suo ruolo, convinto si tratti “di una punizione politica” per sé e per Base riformista, la sua area di riferimento. Così, per cercare di trovare “una sintesi” e non “andare allo scontro” con il segretario scende in campo direttamente Luca Lotti. Il faccia faccia tra l’ex ministro dello Sport e Letta è il tentativo di tenere insieme il gruppo e il partito. Lotti, ‘ex renziano’ per antonomasia, conferma al segretario le istanze di Base riformista ma si impegna per trovare, da qui a giovedì, la soluzione più condivisa possibile.
Letta incontra poi anche il diretto interessato. Marcucci rivendica il lavoro fatto e il ruolo svolto all’interno del gruppo. L’incontro va avanti per quaranta minuti: il clima, assicurano dal Nazareno, “è franco e costruttivo e qualche passo avanti è stato fatto”. In assemblea con i senatori il segretario mette in chiaro le cose: “Mi sono messo in testa di fermare la crisi del Pd: una crisi sulle politiche e una nei rapporti umani deteriorati”, dice, ribadendo l’importanza del “segnale” dato “alla nostra gente” negli ultimo giorni e la volontà di coinvolgere sempre più circoli e territorio. Parlare per giorni dei ruoli interni e dell’ombelico non servirebbe. Il nodo va sciolto in pochi giorni e ha a che fare con una partita più grande: se da un lato, infatti, “un partito come il nostro, organizzato con vertici tutti uomini, semplicemente in Europa non ha cittadinanza ed è irricevibile”, dall’altro il tema politico ha ancora a che fare con le correnti: “Se arriviamo alla sfida con la Lega e il centrodestra con la torre di Babele, per me la sfida del 2023 possiamo pure non giocarla, abbiamo già perso”, avverte. Nessuno, quindi, sarà trattato “da ex”. Il segretario chiede fiducia per “scrivere insieme un pezzo di storia” e non consegnare il Paese alla destra dopo la pandemia.
Marcucci ascolta ma prende tempo. Non ha gradito il pressing degli ultimi giorni arrivato sulla sua persona. “Troppo generica” la proposta di un cambio al vertice arrivata da Letta. “Sappi che noi non siamo incoscienti, ma pretendiamo coerenza”, dice senza mezzi termini. Di più. Capigruppo donne? Perché non una donna segretaria? azzarda. Sarà una nuova assemblea convocata per giovedì mattina a eleggere il nuovo capogruppo. “Io rifletterò in queste ore su cosa dovrò fare”, dice. Domani, assicurano i suoi, verificherà se ci sono le condizioni per una sua ricandidatura. Base riformista è con lui, ma anche per diversi senatori d’area sarebbe difficile sostenere un suo bis: “Data anche la scelta di Delrio l’imbuto è sempre più stretto”, ammettono. Nel bilancino dei nomi, allora, restano in pole per la Camera Marianna Madia e Debora Serracchiani (che però dovrebbe dimettersi dalla presidenza della commissione Lavoro che il Pd rischierebbe di perdere). A palazzo Madama in campo in quota Base riformista Valeria Fedeli, Caterina Bini e Simona Malpezzi (la più quotata, ma dovrebbe lasciare il ruolo di sottosegretaria) e Roberta Pinotti, vicina a Dario Franceschini.
Domani mattina, intanto, Letta vedrà Giuseppe Conte. Il percorso che, nell’ottica del leader porterà il Pd a essere il partito guida della nuova Europa e dell’alleanza che batterà la destra, vede nell’ex premier un interlocutore privilegiato. Specie se, come spera, il M5S farà ingresso nel gruppo S&D al Parlamento Ue.

