L'accusa è di falso per la nomina di Marra a capo della Direzione turismo. Per la Procura avrebbe mentito: chiesti 10 mesi di carcere, in caso di condanna la Capitale potrebbe trovarsi senza sindaco. M5s: "In caso di condanna nessun automatismo"
È ripreso nell'aula decima collegiale del tribunale di Roma il processo a Virginia Raggi che potrebbe decidere il futuro della prima cittadina e del Campidoglio a cinque stelle. La procura accusa la sindaca di Roma di falso ideologico in atto pubblico e ne chiede la condanna a dieci mesi di carcere. Raggi, se condannata, sarebbe costretta alle dimissioni. Intanto, sul Blog delle Stelle, il Movimento ha precisato che "nel codice etico pentastellato", relativo ai candidati alle elezioni amministrative di Roma del 2016 "non esisteva alcun automatismo ma un meccanismo che comportava una valutazione caso per caso".
L'udienza finale è iniziata con l'arringa difensiva dei legali della sindaca, Emiliano Fasulo, Francesco Bruno e Alessandro Mancori, a cui segue la camera di consiglio e la sentenza del giudice Roberto Ranazzi, che deciderà le sorti del Campidoglio. "La difesa chiede l'assoluzione perché il fatto non sussiste – ha detto l'avvocato della sindaca, Bruno – Non è un processo con prove dirette ma un processo indiziario. Il quesito Anac sembra fatto apposta per confondere il destinatario (che era la responsabile Anticorruzione del Campidoglio ndr). Quel quesito avrebbe dovuto esser restituito con il timbro 'Non capisco'. Peraltro la sindaca non era contemplata nelle richieste di chiarimento e Turchi avrebbe anche potuto evitare di consultarla".
Raggi, presente in aula, è imputata per aver dichiarato alla responsabile anticorruzione del Campidoglio di aver deciso, lei sola, ogni dettaglio della nomina di Renato Marra, fratello del capo del personale Raffaele, a capo della direzione Turismo. Questa circostanza, secondo la procura, sarebbe smentita dalle conversazioni via chat in cui rimproverò l'ex capo del personale per l'aumento di stipendio a Renato Marra. La sintesi la fa il pm Francesco Dall'Olio: "Marra ci ha messo la manina, anzi la manona, ma la sindaca sapeva" e su questo le prove sono "univoche e convergenti".
Secondo la procura, Raggi avrebbe mentito per difendere il capo del personale, suo strettissimo collaboratore: "Era l'uomo che faceva girare la macchina del Campidoglio e per questo andava protetto", ha detto ieri nella requisitoria il procuratore aggiunto Paolo Ielo che prosegue: "Inoltre un'indagine per abuso di ufficio su Marra poteva portare, a cascata, a una indagine sulla sindaca e per il codice etico M5S allora in vigore, Raggi a quel punto rischiava di doversi dimettere". "Era una questione che, a soli cinque mesi dalle elezioni, generava un problema che metteva a rischio la carica – ha aggiunto Ielo – Questo spiega il movente di quel falso: esiste, è articolato ed è imponente". La sindaca di Roma controbatte evidenziando che, in tali circostanze, "l'espulsione non è mai stata applicata, perché sia Nogarin che Pizzarotti, quando indagati, non furono espulsi. E Pizzarotti lo fu perché omise l'indagine".
Per quanto riguarda la questione 'codice etico' che secondo la procura rappresenta, appunto, il 'movente' della presunta bugia di Raggi, "è stato ricordato come tutti i sindaci indagati fino a quel momento fossero stati 'graziati', e si trattava in alcuni casi di abusi con pesanti implicazioni patrimoniali", ha precisato l'avvocato difensore. L'ipotesi che Raffaele Marra abbia avuto un ruolo nella scelta del fratello e che Raggi ne fosse a conoscenza, ha concluso il legale Bruno, "è mera illazione e non giustifica il riconoscimento di una responsabilità penale".
M5S: In codice etico 2016 nessun automatismo – Nel codice etico del Movimento 5Stelle, relativo ai candidati alle elezioni amministrative di Roma del 2016 "non esisteva alcun automatismo ma un meccanismo che comportava una valutazione caso per caso". Lo precisa lo stesso Movimento in un post sul Blog delle Stelle. "In riferimento alle notizie di stampa secondo cui ieri il procuratore aggiunto Paolo Ielo, nel corso del dibattimento per il processo che vede coinvolta Virginia Raggi, ha sostenuto che l'ipotetico falso sarebbe stato da quest'ultima commesso perché 'in base al codice etico allora vigente nel MoVimento 5 Stelle avrebbe dovuto dimettersi' nel caso di iscrizione nel registro degli indagati – si legge nel post – si precisa che: 1) non esiste un codice etico antecedente a quello attuale; esiste, invece, un codice di comportamento per i candidati eletti del MoVimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma del 2016 2) L'articolo 9 di tale codice prevedeva al capo A l'obbligo per il sindaco di dimettersi 'se, durante il mandato sarà condannato in sede penale, anche solo in primo grado' o 'l'impegno etico di dimettersi laddove in seguito a fatti penalmente rilevanti venga iscritto nel registro degli indagati e la maggioranza degli iscritti al Movimento 5 Stelle, mediante consultazione in rete, ovvero i garanti del movimento decidano per tale soluzione…". "A conferma di quanto sopra – prosegue il post – la stessa sindaca ha correttamente ricordato i casi dei sindaci Federico Pizzarotti e Filippo Nogarin i quali, a seguito della loro iscrizione nel registro degli indagati per due differenti eventi, non si sono dimessi e non hanno subito alcun procedimento disciplinare per tale motivo. Si precisa che il sindaco Pizzarotti è stato sospeso per non aver dato comunicazione del procedimento di cui era a conoscenza da vari mesi e non già per il procedimento in sé. La stessa Virginia Raggi, pure indagata nel luglio 2016 dalla procura di Roma (procedimento immediatamente archiviato), non ha subito alcun procedimento disciplinare", conclude.
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