Il presidente della Regione Lazio, per ora unico candidato alla segreteria, parla del futuro del Partito Democratico
L'applauso più lungo, a Cortona, se l'è preso Nicola Zingaretti. Quasi un minuto di battimani, persino una manciata di secondi in più di Paolo Gentiloni, più di Marco Minniti, più dello stesso Dario Franceschini. Quasi un'investitura nei confronti del candidato segretario da parte della platea di Areadem, la 'corrente' (in senso buono, come specifica l'artefice) dell'ex ministro dei Beni culturali, tornata a riunirsi per tre giorni in provincia d'Arezzo. Franceschini non ha sciolto le riserve, ma alla domanda di Zingaretti "Ce la possiamo fare?" ha risposto con un "Sì, Nicola, io penso che ce la possiamo fare".
In un pranzo a tre, sabato, ne avranno parlato anche con il segretario Maurizio Martina, forse per capire se intenda candidarsi alla segreteria o chi voglia appoggiare in zona Cesarini. All'orizzonte, il congresso che tutti chiedono sia subito. Franceschini fa pressing sul segretario: "Devono partire le procedure – avverte – e deve finire sufficientemente in tempo per preparare le Europee". No a un congresso lampo. "Siamo stati abituati a una convenzione di poche ore per eleggere un capo e non per scegliere un leader – sottolinea l'ex ministro -, ma la convenzione può durare anche una settimana, può essere un grande luogo di riflessione, in cui i candidati oltre a tenere un discorso si ascoltano".
In mezzo a questa fucina di idee, Franceschini vede bene la rinascita delle correnti "che noi chiamiamo aree e non sono il male, ma il sintomo del pluralismo di un grande partito: la tre giorni di Areadem lo dimostra". Se Zingaretti accenna appena alla necessità di aprire un "cantiere" sulla forma partito, Franceschini prova a riempirlo di contenuti. "Il nostro campo va organizzato come una coalizione o come un unico partito? Se il Pd è eterogeneo, perché non allargare? Se io sono nello stesso partito con Calenda perché non con Beatrice Lorenzin, se sono nello stesso partito con Damiano perché non con Errani? Chiamiamola vocazione maggioritaria se vogliamo, ma il partito deve diventare un luogo che accetta le diversità e le condivide e le promuove".
Insomma, bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è o, meglio, com'era. Stesso discorso in vista delle Europee, idea che ricalca quella lanciata da Laura Boldrini (LeU) alla Festa nazionale dell'Unità a Ravenna. Per questo anche per Franceschini ben venga la manifestazione di piazza indetta da Martina per il 29 settembre, ma sia estesa a tutti: corpi intermedi, associazioni e quanti si oppongono a questo Governo. Il Pd deve tornare in prima linea "in piazza e sul Web" e basta liti tra le due fazioni, rilancia Zingaretti, riprendendo l'ammonimento di Walter Veltroni. Netto il 'no' all'alleanza con il M5S. Tanto il governatore del Lazio quanto Franceschini fugano i dubbi e Zingaretti chiede non si facciano "caricature" del suo pensiero.
Per Carlo Calenda si tratta di un "primo importante segnale di unità". Idem sul nome del partito. Zingaretti si dice d'accordo con Paolo Gentiloni: "Lungi da me porre un problema sul nome, io mi candido a segretario del Pd", sottinteso: non di un altro soggetto politico. Sì, invece, opposizione dura che passi attraverso l'insinuarsi nelle fratture dell'alleanza Cinquestelle-Lega per allargarle fino a farla scoppiare. "I pop-corn sono finiti", è la stoccata finale di Franceschini a Matteo Renzi.
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