Di Elena Fois

Torino, 28 nov. (LaPresse) – La “vera sfida” della politica di oggi “è saper coniugare il rinnovamento con la continuità”. Giorgio Merlo, ex parlamentare del Pd, giornalista e saggista, oggi pomeriggio alle 17.30 sarà a Torino per presentare il suo libro ‘Renzi e la classe dirigente’, edito da Rubbettino, con prefazione di Lorenzo Guerini. Con lui, alla Fondazione Donat Cattin, ci saranno Sergio Chiamparino, Gianni Cuperlo e Davide Gariglio. Tre anime dello stesso partito, quello democratico, le cui divisioni interne per Merlo non rappresentano affatto un problema insormontabile, ma incarnano “la pluralità e la sensibilità” che ne costituiscono il cuore.

Domanda: Il tema centrale del libro è – lo dice il titolo – la classe dirigente. In particolare, i modi e i luoghi in cui oggi si formano e si scelgono i futuri leader di partito. A quali domande lei ha cercato di dare una risposta?

Risposta: Le domande che pongo nel libro sono due. La prima riguarda i modi in cui si sceglie e si forma la classe dirigente. Molto, naturalmente, dipende dai sistemi elettorali scelti. Se vuoi una classe dirigente di qualità, radicata nel territorio, rappresentativa degli interessi sociali e formata, devi avere un sistema elettorale che permetta ai cittadini di scegliere i dirigenti. Se. Invece, vuoi una classe gregaria e incolore, allora fai un sistema in cui la scelta è affidata ai partiti. La qualità dipende da questo.

D. La discussione sull’Italicum è in pieno fermento. Condivide la necessità di accelerare, come chiesto da Renzi? Questa legge elettorale va incontro alle esigenze della classe dirigente da un lato e dei cittadini dall’altro?

R. Condivido certamente con Renzi la necessità di varare in fretta la riforma elettorale, che deve andare avanti. Ogni scelta, però, è fatta di compromessi e non soltanto di decisioni del singolo partito. Il miglior sistema di cui si è parlato e si sta parlando è quello dei collegi uninominali, perché garantisce il miglior rapporto tra gli eletti e gli elettori, non prevede un investimento finanziario eccessivo e dà la garanzia della governabilità il giorno dopo. Nessuna scelta, quindi, è catapultata dall’altro. Forza Italia, però, non condivide questa strada, quindi l’accordo potrebbe essere quello dei capilista bloccati e gli altri eletti con le preferenze.

D. Qual è la strada migliore, oggi, per la formazione della classe dirigente?

R. Io porto la mia esperienza e non ne intravedo un’altra. La formazione richiede studio, preparazione, corsi formativi, l’idea che la politica sia una vocazione, che va affinata e non l’idea della politica come professione. Oggi, da questo punto di vista, c’è una debolezza inquietante.

D. Come si coniuga questa necessità di preparazione con l’esigenza, richiamata da più parti, di avere una classe dirigente più giovane dal punto di vista anagrafico?

R. Il rinnovamento è importante, ma non può ridursi soltanto a un fatto anagrafico. Se sei giovane e bello non necessariamente sei preparato. La vera sfida della politica di oggi è saper coniugare il rinnovamento con la continuità.

D. Crede che Matteo Renzi stia percorrendo questa strada?

R: Renzi ha senz’altro intercettato questa esigenza. Ora si tratta di unire il bisogno di rinnovamento con le cose buone del passato, ma è un processo lungo, che ha bisogno di fatica e tempo. La risposta è quella di premiare il merito, le competenze e le capacità, al di là dei criteri di genere o di età. Anche Renzi lo dice, sono criteri universali che superano l’approccio nuovista e protocollare. La dimostrazione è che abbiamo un 90enne alla guida dello Stato italiano e un 40enne alla presidenza del Consiglio. Entrambi hanno una freschezza che non dipende dall’età.

D. Lei e Renzi siete accomunati da un percorso comune, che affonda le sue radici nella cultura della Democrazia cristiana. Certo, il premier è molto giovane e non ha vissuto la stagione della Dc, ma crede che questo aspetto vi renda in qualche modo simili?

R: Renzi interpreta in modo molto forte la domanda di cambiamento, con coerenza e determinazione. Questo è frutto anche della stagione politica in cui la discussione all’interno dei partiti era ampia, ma non si vive nel passato. Il Partito democratico oggi deve unire la forte leadership che Renzi incarna con la collegialità decisionale. E’ una strada che si può seguire perché il Pd resta un partito plurale e vivo.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata