Firenze, 26 ott. (LaPresse) – I “professionisti della gufata” e quelli che “stanno in Parlamento da 25 anni” ma “hanno portato il Pd al 25%” sono avvisati. I primi “ci riconosceranno quando arriveremo al traguardo”, quello dei mille giorni, delle riforme, di un’Italia diversa, “perché saremo quelli con la maglia rosa”. I secondi, possono scendere in piazza, criticare e polemizzare quanto vogliono: “non consentiremo loro di riprendersi” il partito. Matteo Renzi gioca in casa e decide di affrontare a viso aperto gli avversari. Il presidente del Consiglio non ha gradito le rappresentazioni della Leopolda arrivate ieri dalla piazza Cgil a Roma. “Siamo qui per caricarci a molla – esordisce soft – ma anche per indignarci sulle considerazioni che fanno da fuori per rappresentarci, così distanti dalla realtà”. Il segretario del Pd decide allora di indossare nuovamente la maglia del rottamatore e ingaggia un duello con la vecchia guardia Dem. Passato contro futuro, vecchia/nuova sinistra, intellettuali che rimangono a guardare e scommettono sul fallimento come fanno gli anziani davanti ai cantieri contro amministratori che si assumono la responsabilità di cambiare il Paese: sono queste secondo Renzi i due mondi a confronto.

Sul lavoro, innanzitutto, terreno sul quale si è combattuta “la più grande battaglia culturale degli ultimi 30 anni”. Per risolvere il problema del precariato, attacca il premier, ci si è divisi tra quelli che volevano arrivare al risultato con le manifestazioni e quelli che “combattevano” a suon di convegni. È questa la sinistra? “Abolire co.co.co e co.co.pro, il contratto unico: questa è la sinistra”, con il Governo che incentiva i contratti a tempo indeterminato pur non perdendo di vista la realtà: “Il posto fisso non esiste più perché il mondo è cambiato”, spiega dal palco, sommerso dagli applausi. Ecco allora che difendere l’art.18 “aggrappandosi ad una norma del 1970 che la sinistra di allora non votò è – alla Leopolda più che altrove – come prendere un Iphone e chiedersi dove metto il gettone del telefono? O una macchina digitale e metterci il rullino”.

Il messaggio è chiaro. E’ finita l’Italia del gettone, è finita quella del rullino. E se la sinistra non vuole finire in soffitta o animare riunioni nostalgiche del tempo che fu, deve accettare la sfida del cambiamento. Pensare a chi non è garantito, mettersi al fianco degli imprenditori che sfidano la crisi, combattere l’evasione e abbassare le tasse. Il ‘tweet’ alla minoranza del Pd è lanciato: “Noi siamo quelli delle porte aperte, non buttiamo fuori” nessuno, “ma chi si imbarazza (alla fine la replica implicita a Rosy Bindi, che ha definito imbarazzante la Leopolda, arriva) dopo 25 anni che è in Parlamento perché riuniamo delle persone a parlare di politica forse deve capire che le abbiamo fatto un favore”. Basta polemiche, insomma. Un partito democratico si compone di anime diverse, ma l’una deve saper rispettare l’altra. Anche perché, chiarisce Renzi, “non ho paura se a sinistra si crea qualcosa di diverso”. Il segretario del Pd dal luogo in cui ha iniziato a sfidare il futuro avverte la vecchia dirigenza Dem ricordando il passato. La sinistra radicale “tutte le volte che ha cercato lo strappo ha perso o fatto perdere l’Italia. La scelta che arriva dalla Leopolda a Bindi è compagni è chiara: “Restare aggrappati alla nostalgia o incarnare il cambiamento”.

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