Roma, 12 gen. (LaPresse)- La Consulta ha bocciato con un doppio no entrambi i quesiti presentati dal comitato promotore del referendum sulla legge elettorale: sia, dunque, quello che chiedeva l’abrogazione totale della Calderoli, sia quello che ne chiedeva l’abrogazione per parti. La decisione è arrivata dopo un giorno e mezzo di camera di consiglio. Già nei giorni scorsi erano circolate indiscrezioni secondo cui i giudici erano orientati a respingere la possibilità della consultazione elettorale che, con un sì, si sarebbe dovuta tenere in primavera. Le motivazioni della decisione non si sapranno entro oggi. L’udienza è iniziata ieri mattina alle 9.30. I professori schierati a sostegno del referendum antiporcellum dal Comitato promotore hanno illustrato le loro ragioni nel consueto tempo stringato riservato alle discussioni innanzi ai giudici delle leggi. In circa un’ora e mezza hanno parlato i ‘difensori’ del referendum Nicolò Sandulli e Federico Sorrentino, a sostegno del primo quesito che chiede l’abolizione totale della legge Calderoli, e Alessandro Pace e Vincenzo Palumbo, a sostegno del secondo quesito che abolisce per parti il Porcellum con l’obiettivo di far rivivere la precedente normativa elettorale.
Prima dei professori hanno avuto la parola i legali dell’Associazione giuristi democratici che si sono costituiti in giudizio con possibilità di un breve intervento ‘ad audiuvandum’. Per l’associazione, quindi, hanno parlato gli avvocati Pietro Adami e Paolo Solimeno fautori di una ‘terza via’. Hanno sostenuto che l’effetto abrogativo del referendum “possa essere differito fino all’entrata in vigore della nuova disciplina approvata dal legislatore”. In pratica, avevano chiesto un periodo più lungo di tempo, rispetto ai 60 giorni previsti dalla legge sul referendum entro i quali si differisce “l’efficacia degli esiti referendari”, per dar modo alle forze politiche di riscrivere la legge elettorale. Se il referendum fosse passato al vaglio della Corte, ci sarebbe stato il nulla osta per andare alle urne in primavera. I quesiti proposti erano due: il primo era sull’abrogazione completa della legge Calderoli del 2005, il cosiddetto ‘Porcellum’ che modificò le precedenti norme elettorali per Camera e Senato. Secondo i promotori, con la cancellazione dell’ultima legge tornerebbe automaticamente in vigore quella precedente, il cosiddetto ‘Mattarellum’ del 1993, che prevede l’assegnazione del 75% dei seggi col sistema uninominale maggioritario e del restante 25% col proporzionale di lista. Il secondo quesito proponeva invece l’abrogazione solo di alcune parti della legge Calderoli, ma il risultato, pur attraverso una strategia diversa, è il medesimo: il ritorno alla legge Mattarella.
Immediata la reazione del leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro, uno dei promotori del referendum elettorale, che ai cronisti alla Camera ha detto: “L’Italia si sta avviando lentamente verso la deriva antidemocratica, manca solo l’olio di ricino”. “La Corte costituzionale – ha proseguito Di Pietro – è addirittura arrivata al punto di impedire al popolo italiano di scegliersi quale legge elettorale vuole: una decisione che non ha nulla di giuridico né di costituzionale, ma è politica e di piacere al capo dello Stato e alle forze politiche della nuova maggioranza. E’ tempo di scendere nelle piazze e passare a nuove forme di protesta contro questo scempio della democrazia”. Rabbia e stupore anche per il segretario del Partito liberale italiano Stefano de Luca che commenta: “Per la prima volta nella storia della Repubblica la Corte Costituzionale ha assunto una decisione palesemente influenzata dai tre maggiori partiti italiani rappresentati in Parlamento, tutti schierati contro il referendum. Il Pli vigilerà perché allo scippo odierno non segua una finta riforma che darebbe la sensazione di un cambiamento per non cambiare realmente nulla”.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata