Roma, 3 ott. (LaPresse) – Un incontro istituzionale, garbato e cordiale in cui ognuno ha cercato di far valere le proprie ragioni. Il Consiglio superiore della magistratura, in un plenum straordinario, ha incontrato il ministro della Giustizia, Nitto Palma. Intercettazioni, rapporto toghe-politica, riforma della giustizia sono stati i temi affrontati durante l’incontro. Il primo altotà arriva dal vicepresidente Michele Vietti che dice: “Basta con le leggi ad personam”. Quelle messe in cantiere sino ad oggi dalla maggioranza, lamenta Vietti, sono state “iniziative legislative per lo più incompiute, settoriali e di corto respiro, proposte di volta in volta per tentare di risolvere problemi difficilmente riconducibili agli interessi generali ed alla coerenza del sistema”.
Per il vicepresidente del Csm si tratta di “interventi con le gambe corte, taluni dei quali vediamo con preoccupazione ancora all’ordine del giorno del Parlamento, come il cosiddetto processo lungo e breve. Ma figli della stessa logica sono apparsi anche la più gran parte delle proposte di riforma del processo penale, mirate per lo più a complicare piuttosto che a semplificare il processo”. Allo stesso tempo Vietti chiede che si ponga fine allo “scontro istituzionale”, “la contrapposizione tra politica e magistratura”. Perché così si rischia “la reciproca delegittimazione”. Da la richiesta rivolta dal vice presidente del Csm Michele Vietti al Guardasigilli Nitto Palma affinché venga aperta “una nuova stagione”.
Sul tema delle intercettazioni, che stando a quanto riferito dal ministro costano 450 milioni l’anno, Vietti ha auspicato che il Parlamento trovi un punto di equilibrio tra “questo insostituibile di indagine, senza il quale la concreta incisività del controllo di legalità risulterebbe pregiudicata” e quello di “garantire la libertà di stampa e il diritto all’informazione dei cittadini; rispettare la riservatezza, soprattutto nei confronti dei terzi non coinvolti, per fatti che non hanno rilevanza penale”. Poi è stata la volta di Nitto Palma che subito ha sollevato il problema che deriva “dal frequente rilascio di dichiarazioni agli organi di informazione da parte di magistrati” quando queste “appaiono trascendere dai doveri funzionali e dai principi etici”.
Un fenomeno al quale secondo il Guardasigilli occorre porre un freno anche attraverso una normativa disciplinare vigente che “presenta delle carenze” tali da richiedere “una rivisitazione”. Le esternazioni dei magistrati, ha sottolineato, introducono spesso “giudizi di valore, espressioni pesanti e irriguardosi, allusioni che denotano precise prese di posizione” e nelle quali “non c’è traccia di compostezza e sobrietà che, secondo il comune sentire, si auspicano connesse alla figura del magistrato”.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata