Roma, 3 ott. (LaPresse) – “In un partito quale quello che voi pensate di costruire o di avere costruito noi, dovremmo essere deferiti agli organi di disciplina per la grave disubbidienza ai deliberati ufficiali. In un sistema quale quello che voi proponete per il governo del Paese il segretario dovrebbe presentarsi dimissionario per difendersi dall’accusa di aver inferto un grave danno al partito proponendo una linea che si è dimostrata radicalmente sbagliata”.
Questo un passaggio, non letto per mancanza di tempo, ma lasciato agli atti, dell’intervento di Arturo Parisi alla direzione del Pd. L’ex ministro, tra i sostenitori del referendum per il cambiamento della legge elettorale ha chiesto “una grande scossa di democrazia, che scuota l’immobilismo, figlio dell’unanimismo, e nipote del continuismo che ha impedito al Pd di nascere come un partito veramente nuovo”.
“Una scossa – si legge – che contrasti l’idea che anche il Partito democratico abbia paura della democrazia, delle primarie che non siano la conferma di decisioni già prese, delle riunioni che si condlusono con voti che non siano bulgari, delle riunioni degli organi ufficiali che non si limitano ad applaudire decisioni assunte in organi inesistenti”. “Il partito che abbiamo in mente – prosegue Parisi – non guarda il movimento passare, limitandosi a salutarlo e ad ospitarlo. Il partito che abbiamo in mente non si nasconde dietro la teoria che i referendum sono cosa della società civile o degli altri partiti, una tesi adatta alla maggioranza non all’opposizione. Il partito che abbiamo in mente è esso stesso movimento, e dentro la società che si muove sta alla testa, e qualche volta può finire in coda, ma mai fuori o di lato”.
“Un partito – ammonisce il democratico – non può accontentarsi, come ha detto oggi Bersani, di rivendicare il merito di essere uscito dal Referendum senza farsi del male. La sua ambizione deve essere quella di fare del bene all’Italia, non quella di fare male al Partito”.
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