Il "Wall" al confine col Messico ha provocato un braccio di ferro tra Presidente e Congresso e ha causato lo "shutdown" dell'amministrazione Usa. Al capo della Casa Bianca resta l'opzione di dichiarare l'emergenza e di farlo in base a quella. Ma anche questa strada presenta non pochi rischi

Cinque miliardi di dollari, 1.954 miglia (3.144 chilometri), 22 giorni di shutdown dell'amministrazione americana. Sono i numeri della storia del "Muro di Trump, Perché così passera alla Storia questa idea del presidente Usa, la si realizzi o meno. 

I fatti sono noti. In campagna elettorale, il tycoon aveva guadagnato molti voti sulle paure degli americani sollevando il "pericolo che viene dal Sud" e facendo credere al suo elettorato che lungo il confine tra Stati Uniti e Messico stavano crescendo gravissimi rischi per la sicurezza del popolo americano. Dal Messico (e, più in generale dal Sudamerica) nella "narrazione trumpiana" arrivavano frotte di terroristi e assassini che avrebbero minato la tranquillità del Paese e dei suoi abitanti.

Come per altri temi della campagna elettorale, Trump si è poi trovato a tentare di mantenere le promesse fatte. Va detto che su questo e altri (dall'Obamacare, al trattato di Parigi sull'ambiente, dall'Afghanistan agli accordi commerciali come il Nafta o quello con la Corea del Sud) il presidente, prima o poi, ci ha provato. A volte (come per il trattato di Parigi o il Nafta) è riuscito a passare portando a casa successi parziali o totali, a volte è stato fermato dal suo stesso staff che (come racconta Bob Woodward nel suo recente libro su Trump intitolato significativamente "Paura") passano gran parte del loro tempo a cercare di frenare gli istinti distruttivi del presidente. Spesso, racconta Woodward, il segretario del suo staff Rob Porter e il consigliere economico Gary Cohn sono dovuti intervenire nascondendogli documenti pronti da firmare, distraendolo con altre questioni più innocue e approfittando, in genere, della sua scarsa capacità di rimanere concentrato a lungo su una questione o un dossier.

Ma il "muro" è e rimane una delle principali ossessioni di Trump e, quando, a dicembre, ha ricominciato a occuparsene con il sostegno del suo stratega di riferimento, Steve Bannon, tutti hanno capito che, questa volta, sarebbe stato quasi impossibile distrarlo. Anche perché, questa volta, lo scontro politico si è spostato all'esterno della Casa Bianca e Donald Trump si è trovato di fronte l'opposizione democratica appena uscita con una mezza vittoria dalle elezioni di mid term. Alla Camera, adesso, i democratici hanno la maggioranza e lo speaker (nella persona di Nancy Pelosi) e sul delicatissimo tema del bilancio che (come in Italia) va approvato entro la fine dell'anno pena una specie di "esercizio provvisotrio" che, in America si chiama "shutdown", anche al Senato ci vuole una maggioranza qualificata di almeno 60 senatori su 100. I repubblicani sono 53 e lì sono cominciati i problemi.

Donald Trump ha chiesto che nel Bilancio ci fosse uno stanziamento di 5 miliardi per il muro adducendo "l'emergenza umanitaria" e l'urgenza di risolvere la questione di sicurezza. I democratici della Camera gli hanno detto di no, i repubblicani del Senato non sono riusciti a ribaltare la situazione.e, il 22 dicembre è partito lo "shutdown". In sostanza, significa che l'amministrazione pubblica americana sta funzionando a scartamento ridotto. Il motivo è semplice: senza bilancio, i vari settori della PA non ricevono gli stanziamenti spettanti e non riescono più a pagare i dipendenti (che vengono mandati provvisoriamente e casa o licenziati) e i fornitori. A poco a poco, i diversi settori coinvolti (Sicurezza Interna, Giustizia  Tesoreria, Agenzia per l'ambiente, NASA.e altri) si fermano e i loro servizi non vengono più erogati. Di giorno in giorno cresce il numero di "stop". Se lo shutdown arriverà a sabato 12 gennaio (ed è molto probabile che sia così), diventerà il più lungo della Storia degli Stati Uniti. Sicurezza negli aeroporti, giustizia, parchi, ricerca sono i settori più colpiti. Il dramma è evidente anche se qualcuno ha fatto due conti e ha verificato che, alla fine, lo Stato nemmeno ci guadagna nonostante abbia meno gente da pagare. Il sistema, complessivamente, costa di più invece che di meno Di certo il Paese non può reggere ancora a lungo.  

Dal 22 a oggi, i "pontieri" di entrambe le parti politiche, le hanno tentate tutte per uscire dallo stallo. Ma le mediazioni non sono possibili. Trump ha sparato l'altra sera un "discorso alla Nazione" pieno di paura, raccontando trucide storie di persone che sono state squartate dai migranti in arrivo e frotte di terroristi pronti a entrare negli Usa dal confine con il Messico, poi ha promesso un viaggio al confine (oggi, anche se, pare, che lui non sia molto convinto) e, il giorno dopo (con sondaggi abbastanza negativi sul suo discorso), ha incontrato i leader democratici Nancy Peolsi (Camera), e Chuck Schumer (Senato). Chi c'era racconta di un incontro surreale in cui Trump ha chiesto pari pari a Nancy Pelosi se era pronta a concedergli il muro. Lei ha risposto di no, lui s'è alzato inferocito, ha detto "bye bye" e se n'è andato lasciando di sale i due interlocutori. Poco dopo ha twittato che era stata un'inutile "perdita di tempo". Più tardi ha aggiunto che il "lagnoso" Schumer aveva raccontato delle balle dicendo che il presidente aveva "sbattuto la porta": "Ho solo detto bye bye e me ne sono andato educatamente"

Tant'è, il livello dello scontro (come sempre Trump fa tutto o quasi via Twitter) è questo. Ora, l'ultima spiaggia potrebbe essere che Trump finisca per dichiarare il muro e la situazione al confine  col Messico "una emergenza nazionale". In questo caso, per legge, potrebbe costruire il muro anche senza l'approvazione del Congresso. Si tratta di un potere presidenziale che è stato usato solo 58 volte in oltre due secoli di Storia della presidenza degli Stati Uniti. Ma c'è l'emergenza? Evidentemente no e non è difficile da dimostrare, ma questo, a quanto pare non sarebbe dirimente e non impedirebbe al Presidente di dichiararla. I problemi, però, secondo gli esperti, verrebbero subito dopo. Intanto perché diversi costituzionalisti affermano che sollevare l'emergenza per una cosa del genere arriverebbe molto vicino all'abuso di potere e perché, comunque, in questo modo Trump raderebbe al suolo la credibilità e l'autonomia del Congresso. Non dimentichiamo che il sistema presidenziale americano in cui il presidente ha poteri formalmente enormi, l'equilibrio tra i diversi centri di potere (Presidente, Corte Suprema, Camera, Senato, sistema giudiziario) è importantissimo e si basa sull reciproca autonomia. 

Ma, al di là di questo, gli esperti dicono che su una decisione di Trump per il muro basata sull'emergenza, pioverebbero decine di cause legali. E va bene che il Dipartimento di Giustizia potrebbe dare indicazione ai giudici sulla non rilevanza dell'effettiva presenza di uno stato di emergenza perché il Presidente è "dominus" assoluto in materia di sicurezza, ma di certo, secondo gli esperti, le cause non sarebbero "temerarie" e una buona parte avrebbero la possibilità di andare in porto. Senza contare tutte le questioni civilistiche legate alla proprietà dei terreni e quelle tecniche conseguenti alle reali difficoltà di un territorio in molti punti impervio e roccioso sul quale non è così semplice costruire un muro.

Se non fosse che c'è di mezzo l'onore dei liberal americani e una battaglia di principio su temi come razzismo, democrazia, accoglienza e su altri caposaldi della cultura Usa basata sul concetto del "melting pot" etnico che costituisce il popolo americano, se non fosse per tutto questo, suggerisce qualcuno, varrebbe forse la pena di lasciarglielo fare, questo maledetto muro col Messico. Perché è probabile che, una volta avuti i suoi 5 miliardi di dollari, Donald Trump andrebbe a impantanarsi da solo nelle sabbie mobili di un muro quasi impossibile da costruire davvero.

 

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