“Torture e trattamenti crudeli e umilianti” su almeno dieci detenuti dell’istituto di correzione e riabilitazione di Tripoli, e “omicidio” di una delle vittime, morta in seguito alle torture subite. Le gravissime accuse che portano all’arresto in Libia di Osama Almasri scatenano in Italia una nuova bufera sul caso del generale rimpatriato a gennaio scorso dall’Italia nonostante un mandato di cattura della Corte penale internazionale.
L’opposizione attacca
L’opposizione chiede un’informativa urgente alla Camera del governo, mentre parole dure contro l’esecutivo arrivano da tutti i leader del centrosinistra, a cominciare da Elly Schlein che parla di “figura vergognosa a livello internazionale per cui il governo deve chiedere scusa agli italiani”.
“Evidentemente per la procura in Libia il diritto internazionale non vale ‘solo fino a un certo punto’, come per il governo italiano”, aggiunge la segretaria dem, alla quale fanno eco da Italia viva Matteo Renzi, che stigmatizza la “pagina vergognosa“, e da Avs Angelo Bonelli, secondo il quale “il governo ha tradito i principi di legalità e i diritti umani proteggendo un torturatore e stupratore”. “Che umiliazione per il governo Meloni – rincara la dose il presidente M5S, Giuseppe Conte -. Ora diranno che anche la Procura generale in Libia è un nemico del governo?”.
La replica del governo
Da palazzo Chigi e dalla maggioranza la replica non è immediata e anzi, in un primo momento, sembra filtrare un certo imbarazzo. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, interpellato dai cronisti in Transatlantico, commenta la notizia con un laconico “non me sto occupando”.
In serata, fonti di governo fanno invece sapere che “l’esecutivo italiano era bene a conoscenza dell’esistenza di un mandato di cattura emesso dalla Procura Generale di Tripoli a carico del libico Almasri” già al momento dell’arresto in Italia, nel gennaio scorso. Le stesse fonti spiegano come “il ministero degli Esteri italiano avesse ricevuto, pressoché contestualmente con l’emissione del mandato di cattura internazionale della Procura presso la Corte Penale Internazionale de L’Aja, una richiesta di estradizione da parte dell’Autorità giudiziaria libica. E questo dato – si evidenzia – ha costituito una delle fondamentali ragioni per le quali il Governo italiano ha giustificato alla Cpi la mancata consegna di Almasri e la sua immediata espulsione proprio verso la Libia”.
Viene definito “pertanto singolare che questo elemento, obiettivo e pubblico, rappresenti una assoluta novità per tanti esponenti delle opposizioni”.
Minoranza compatta
La notizia dell’arresto del generale libico rimbalza nell’Aula di Montecitorio e compatta le opposizioni sulla richiesta di informativa, cui aderiscono i deputati di M5S, Avs, Pd, Italia Viva, +Europa e Azione. La responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani, richiama l’inchiesta italiana e invita la maggioranza a “fermarsi” sul conflitto di attribuzione alla Consulta in merito all’indagine sulla capo di gabinetto di Via Arenula, Giusi Bartolozzi.
La ricostruzione del caso Almasri
Osama Njeem Almasri è stato arrestato il 19 gennaio scorso a Torino e rimpatriato in Libia due giorni dopo, nonostante su di lui pendesse un mandato della Corte penale internazionale per crimini di guerra. La procura della Cpi ha accusato il governo italiano di non aver rispettato i propri obblighi, impedendo alla giustizia internazionale di agire. Per questo il Tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere, respinta dal Parlamento il 9 ottobre scorso, contro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, e i ministri della Giustizia e dell’Interno Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, ipotizzando a vario titolo i reati di omissione di atti d’ufficio, concorso in favoreggiamento e peculato.
Archiviata l’indagine sui tre esponenti di governo, resta aperta quella, per false informazioni ai pm, che vede coinvolta Bartolozzi, in merito alla quale la Giunta per le autorizzazioni ha approvato ieri il parere per sollevare il conflitto di attribuzione in Corte Costituzionale. Il parere passerà nei prossimi giorni dall’Ufficio di presidenza di Montecitorio, per poi essere votato dall’Aula e, dopo l’approvazione, arrivare davanti alla Consulta.

