Continua la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza. Dopo la missione dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, nella regione, Trump ha detto che gli Stati Uniti vogliono “dare da mangiare” alla gente della Striscia. Prosegue anche il dibattito politico internazionale dopo che ieri, venerdì, il presidente israeliano Isaac Herzog ha risposto al presidente della Repubblica italiano Sergio Mattarella dicendo che lo Stato ebraico “non uccide indiscriminatamente”. In Italia, la senatrice a vita Liliana Segre ha detto di opporsi all’uso della parola ‘genocidio’ a Gaza, poiché essa sarebbe utilizzata “per vendetta”. Ecco tutte le ultime notizie di oggi 2 agosto in diretta.
Hamas ha ribadito che non accetterà di disarmarsi a meno che non venga istituito uno Stato palestinese sovrano, in risposta a una delle principali richieste di Israele nei colloqui per un cessate il fuoco a Gaza. Lo riferisce la Bbc, secondo cui l’organizzazione ha replicato a dichiarazioni attribuite all’inviato per il Medioriente di Donald Trump, Steve Witkoff, secondo cui Hamas avrebbe “espresso la propria disponibilità” a deporre le armi. Israele considera il disarmo di Hamas una delle condizioni fondamentali per qualsiasi accordo volto a porre fine al conflitto.I negoziati indiretti tra Israele e Hamas per raggiungere un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi si sono arenati la scorsa settimana. Negli ultimi giorni, diversi governi arabi hanno esortato Hamas a disarmare e a rinunciare al controllo di Gaza, dopo che numerosi Paesi occidentali — tra cui Francia e Canada — hanno annunciato l’intenzione di riconoscere uno Stato di Palestina. Il Regno Unito ha dichiarato che lo farà se Israele non rispetterà alcune condizioni entro settembre.
“Nell’ambito di un’operazione umanitaria internazionale guidata dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Giordania e con la partecipazione di altre Nazioni europee, l’Italia questa mattina ha iniziato ad offrire la sua collaborazione operativa alla consegna di aiuti alla popolazione di Gaza mediante lanci aerei oggi operati con velivoli degli Emirati”. Lo riferiscono fonti di Palazzo Chigi spiegando che “grazie all’azione del Ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale e del Ministero della Difesa, l’Italia continuerà a ripetere tali operazioni anche nei prossimi giorni in raccordo con i partner più stretti, a partire dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Giordania”. “Parallelamente a questo sforzo in termini di aiuti umanitari – sottolineano le stesse fonti –, l’Italia resta impegnata a sostenere l’obiettivo di un cessate il fuoco che apra la via al termine permanente delle ostilità e al rilancio di un processo politico verso una pace giusta e duratura, basata sulla soluzione dei due Stati”.
Il ministero della Salute palestinese ha riferito che almeno 98 persone sono state uccise e 1.079 ferite negli attacchi israeliani a Gaza nelle ultime 24 ore. Il bilancio dei morti comprende 39 persone uccise mentre attendevano gli aiuti alimentari. In totale, il bilancio delle vittime degli attacchi israeliani lanciati a partire dall’ottobre 2023 è di 60.430 morti e 148.722 feriti. Lo riporta Al Jazeera.
L’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff ha dichiarato alle famiglie degli ostaggi a Tel Aviv: “Il piano non è quello di estendere la guerra, ma di porvi fine”. Lo riporta il Times of Israel. Witkoff ha aggiunto che i colloqui dovrebbero ora concentrarsi sulla fine della guerra e sul rientro di tutti gli ostaggi, anziché su un accordo parziale.
“Sono appena tornato da una missione di cinque giorni in Israele, Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. I segni della profonda sofferenza e della fame erano visibili sui volti delle famiglie e dei bambini. Dall’inizio della guerra, a Gaza sono stati uccisi oltre 18.000 bambini. Si tratta di una media di 28 bambini al giorno, l’equivalente di una classe scolastica, che non ci sono più. I bambini hanno perso i loro cari, sono affamati e spaventati e traumatizzati“. Lo dice, in una nota, Ted Chaiban, Vicedirettore generale di Unicef. “Gaza ora rischia seriamente la carestia. Si tratta di una situazione che si è andata aggravando, ma ora abbiamo due indicatori che hanno superato la soglia della carestia. Una persona su tre a Gaza passa giorni senza cibo e l’indicatore di malnutrizione ha superato la soglia della carestia, con la malnutrizione acuta che ora supera il 16,5% [nella città di Gaza]. Oggi, oltre 320.000 bambini piccoli sono a rischio di malnutrizione acuta”, aggiunge.
“A Gaza ho incontrato le famiglie dei 10 bambini uccisi e dei 19 feriti da un attacco aereo israeliano mentre erano in fila con i loro genitori per ricevere cibo presso una clinica nutrizionale a Deir el-Balah sostenuta dall’Unicef – racconta Chaiban – Abbiamo incontrato Ahmed, che ha 10 anni, e suo padre. Quel giorno Ahmed era in fila con sua sorella Samah, di 13 anni. Lei è morta. Ho visto una foto in cui lui agitava furiosamente le braccia per fermare un carro trainato da un asino nel tentativo di salvarla e portarla in ospedale, ma non ci è riuscito. È profondamente traumatizzato e non sa cosa fare. Questo semplicemente non dovrebbe accadere. I bambini che ho incontrato non sono vittime di una catastrofe naturale. Sono affamati, bombardati e sfollati. In un centro di stabilizzazione nella città di Gaza ho incontrato bambini gravemente malnutriti, ridotti pelle e ossa. Le loro madri erano sedute lì vicino, disperate ed esauste. Una madre mi ha detto che non produce più latte materno perché lei stessa è troppo affamata. L’Unicef sta facendo tutto il possibile per affrontare la situazione: sostiene l’allattamento al seno, fornisce latte artificiale e cura i bambini affetti da malnutrizione acuta grave. Ma i bisogni sono enormi dopo 22 mesi di guerra e due mesi di blocco, che ora è stato allentato ma continua ad avere un impatto, e gli aiuti non stanno arrivando abbastanza velocemente o nella misura necessaria”.
“In mezzo a tutto questo, il nostro personale a Gaza, la maggior parte del quale ha subito perdite personali devastanti, continua a lavorare giorno e notte – assicura Chaiban – L’Unicef sta fornendo acqua potabile: 2,4 milioni di litri al giorno nella parte settentrionale di Gaza, raggiungendo 600.000 bambini. Si tratta di una media di 5-6 litri di acqua al giorno a persona – meglio di prima, ma ancora ben al di sotto della soglia di sopravvivenza. Abbiamo ricostruito la catena del freddo per i vaccini e continuiamo a vaccinare i bambini. Stiamo fornendo assistenza psicosociale ai bambini che sono stati terrorizzati da ciò che hanno vissuto. Stiamo salvando la vita ai neonati, aiutando a riunire le famiglie separate, sia all’interno della Striscia che, in alcuni casi, a livello internazionale, e fornendo latte artificiale ai bambini più vulnerabili, ma c’è ancora molto da fare. Dopo la tregua annunciata da Israele, l’accesso umanitario è stato in parte facilitato. Abbiamo oltre 1.500 camion carichi di forniture di prima necessità pronti nei corridoi tra Egitto, Giordania, Ashdod e Turchia. Alcuni hanno iniziato a muoversi e negli ultimi due giorni abbiamo consegnato 33 camion di latte in polvere salvavita, biscotti ad alto contenuto energetico e kit igienici. Ma questa è solo una minima parte di ciò che serve; quindi, gran parte della nostra missione è stata dedicata alla sensibilizzazione e al dialogo con le autorità israeliane a Gerusalemme e Tel Aviv. Abbiamo insistito affinché venissero riviste le loro regole militari di ingaggio per proteggere i civili e i bambini. I bambini non dovrebbero essere uccisi mentre aspettano in fila in un centro nutrizionale o mentre raccolgono l’acqua, e le persone non dovrebbero essere così disperate da dover assalire un convoglio”.
“Abbiamo chiesto un aumento degli aiuti umanitari e del traffico commerciale – avvicinandoci a 500 camion al giorno – per stabilizzare la situazione e ridurre la disperazione della popolazione, nonché i saccheggi. Per affrontare questo problema, dobbiamo inondare la Striscia di rifornimenti utilizzando tutti i canali e tutti i valichi. Questo non sarà possibile solo con gli aiuti umanitari, quindi abbiamo anche insistito affinché nella Striscia entrassero beni commerciali – uova, latte e altri beni di prima necessità che integrano ciò che la comunità umanitaria sta portando. Abbiamo insistito affinché fossero ammessi articoli “a duplice uso” e più carburante, in modo da poter riparare il sistema idrico: tubi, raccordi, generatori. A Gaza fa molto caldo – 40 gradi – e l’acqua scarseggia, con il rischio di epidemie che incombe ovunque. Continueremo a impegnarci affinché le pause umanitarie non causino ulteriori sfollamenti, costringendo la popolazione in un’area sempre più ristretta. Anche in Cisgiordania i bambini sono in pericolo. Finora quest’anno sono stati uccisi 39 bambini palestinesi. Ho visitato una comunità beduina a est di Ramallah, che è stata costretta ad abbandonare le proprie case a causa delle violenze. Abbiamo anche incontrato bambini israeliani colpiti dalla guerra. Bambini che hanno subito paura, perdite e sfollamenti. I bambini non iniziano le guerre, ma sono loro a subirne le conseguenze. Ci troviamo a un bivio. Le scelte che faremo ora determineranno la vita o la morte di decine di migliaia di bambini. Sappiamo cosa bisogna fare e cosa si può fare. L’ONU e le ONG che compongono la comunità umanitaria possono affrontare questo problema, insieme al traffico commerciale, se vengono messe in atto misure che consentano l’accesso e che alla fine garantiscano la disponibilità di beni sufficienti nella Striscia, in modo da attenuare alcuni dei problemi legati all’ordine pubblico. Sono necessari finanziamenti. L’appello dell’Unicef per Gaza è gravemente sottofinanziato: solo il 30% delle esigenze sanitarie e nutrizionali è coperto. Dobbiamo ricordare che le pause umanitarie non sono un cessate il fuoco. Speriamo che le parti possano concordare un cessate il fuoco e il ritorno di tutti gli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas e di altri gruppi armati. Questa situazione va avanti da troppo tempo. 22 mesi. Onestamente non mi sarei mai aspettato che saremmo arrivati a 22 mesi di guerra. Quello che sta accadendo sul campo è disumano. Ciò di cui hanno bisogno i bambini, i bambini di tutte le comunità, è un cessate il fuoco duraturo e una via d’uscita politica”, conclude Chaiban.
Ventuno palestinesi sono stati uccisi sabato mattina presto da colpi d’arma da fuoco e bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Tra di loro 12 persone che cercavano cibo e aiuti e tre donne. Lo riferisce Wafa. I corrispondenti dell’agenzia palestinese hanno riferito, citando fonti mediche, che 12 vittime sono arrivate all’ospedale Al-Shifa a ovest di Gaza City.
In particolare, secondo le stesse fonti, il cittadino Hamed Ibrahim Al-Qarnawi, sua moglie e i suoi tre figli sono rimasti uccisi quando un aereo israeliano ha preso di mira la loro casa nella città di Al-Zawayda, nella Striscia di Gaza centrale. Tre cittadini della famiglia Samour sono rimasti uccisi e altri sono rimasti feriti quando una bomba sganciata da un drone israeliano ha colpito le tende degli sfollati nei pressi dell’incrocio industriale a nord di Khan Younis. Anche due donne sono rimaste uccise quando una tenda è stata bombardata a nord-ovest di Khan Younis: Rana Ramzi Yahya Abu Hamra e sua madre, Hanaa Abu Hamra.
“Quello di Grossman è un ammonimento giusto perché, quando si arriva ad affamare una popolazione – per quanto le responsabilità siano condivise con Hamas (e anche questo Grossman lo dice) – il rischio di arrivare all’indicibile esiste. Ed è veramente straziante per me vedere Israele sprofondato in un simile abominio, con alcuni ministri fanatici che, con gli occhi fuori dalle orbite, gridano propositi di virulenta disumanità, oppure con gruppi di coloni che compiono vergognose azioni squadristiche ai danni di palestinesi inermi in Cisgiordania”. Così la senatrice a vita Liliana Segre in un’intervista a ‘Repubblica’. “Anche David Grossman, con la sua eccezionale sensibilità, avverte il pericolo dell’uso strumentale e parossistico dell’anatema ‘genocidio’ che fin dal giorno successivo al 7 ottobre viene fatto qui in occidente. E infatti dice ‘Dobbiamo trovare il modo per uscire da questa associazione fra Israele e il genocidio. Prima di tutto, non dobbiamo permettere che chi ha sentimenti antisemiti usi e manipoli la parola genocidio’ – aggiunge – Se in Israele il problema è quello di arrestarsi sull’orlo dell’abisso, qui in Europa il problema è duplice: aiutare israeliani e palestinesi che in quell’abisso rischiano di sprofondare, ma al tempo stesso non far dilagare qui la barbarie culturale che un acritico arruolamento su uno o sull’altro dei due fronti più estremi sta producendo. Per questo mi sono sempre opposta e continuo ad oppormi a un uso del termine genocidio che non ha nulla di analitico, ma ha molto di vendicativo. È uno scrollarsi di dosso la responsabilità storica dell’Europa, inventando una sorta di contrappasso senza senso, un ribaltare sulle vittime del nazismo le colpe dell’Israele di oggi dipinto come nuovo nazismo”.
Non pensa che Benjamin Netanyahu e il governo che lo sostiene, di fronte agli occhi dei palestinesi innanzitutto, ma anche degli ebrei che non condividono le scelte di Israele, portino la drammatica responsabilità dell’odioso rigurgito nel mondo di un sentimento antisemita? “Su questo bisogna essere chiari – risponde Segre – Israele non è né l’erede né il rappresentante degli ebrei europei vittime della Shoah: non deve usare quello scudo per giustificare qualunque suo eccesso, ma non deve neanche essere usato come pretesto per tornare ad odiare il popolo ebraico e perfino le vittime di 80 anni fa. Israele è stato una risposta alla Shoah: lo stato-rifugio che avrebbe garantito l’adempimento di quel giuramento: ‘mai più’. Il trauma patito dagli israeliani il 7 ottobre non si capisce se non si ha chiaro questo: è stato lo shock di vedere di nuovo assassinare e rapire casa per casa donne, vecchi e bambini proprio dentro quel rifugio che era stato costruito perché non potesse mai più accadere“.
Steve Witkoff “ha avuto incontri fantastici con molte persone, e l’incontro principale era sul cibo”. Lo ha detto Donald Trump riguardo alla missione in Israele e Gaza del suo inviato. Witkoff “ha avuto anche altre conversazioni di cui vi parlerò più avanti, ma ha avuto un incontro su come dare da mangiare alla gente, ed è quello che vogliamo“, ha detto il presidente parlando con i giornalisti.