La giornalista afghana Khadija Amin, fuggita in Spagna nel 2021: "Hanno messo in atto un'apartheid di genere, occorre che la comunità internazionale lo riconosca"
A Tirana, in Albania, è in corso un incontro di circa 120 donne afghane provenienti da varie parti del mondo, che stanno discutendo su come poter migliorare la situazione in Afghanistan, dove i talebani, giorno dopo giorno, introducono misure sempre più restrittive. Le donne afghane vogliono che “il mondo ascolti la loro voce”, i talebani hanno messo “in atto un’apartheid di genere” e occorre che la comunità internazionale lo “riconosca”, dice a LaPresse la giornalista afghana Khadija Amin. La reporter è stata conduttrice della televisione pubblica afghana fino alla presa del potere dei talebani nel 2021 e da tre anni vive in Spagna come rifugiata. È in contatto costante con donne che vivono nel suo Paese, che considera sue “sorelle” e che le raccontano la condizione in cui si trovano. “Vivono una situazione terribile psicologicamente, i casi di matrimoni infantili e di matrimoni forzati stanno aumentando“, afferma Amin, che racconta anche di donne che, nonostante le paure e le vessazioni, non si scoraggiano e trovano la forza per manifestare, mettendo in pericolo la propria vita. “Proprio ieri un gruppo di donne a Kabul ha manifestato in strada, per loro è un rischio ma lo fanno perché non vogliono rimanere in silenzio, vogliono che il mondo ascolti la loro voce“, dice la giornalista.
A metà agosto i talebani hanno introdotto nuove leggi per “combattere il vizio e promuovere la virtù”, che vietano alle donne proprio di far sentire la loro voce in pubblico. Niente canti o letture ad alta voce in strada. Di fronte a restrizioni sempre più pesanti, le donne afghane si stanno riunendo a Tirana. Al meeting, che terminerà domani, partecipano sia rifugiate afghane provenienti da diversi Paesi del mondo che quattro donne arrivate dall’Afghanistan a cui, afferma Amin, è stato dato il permesso di lasciare il Paese. Tra loro c’è anche la nota attivista Mahbouba Seraj. Ad altre donne che vivono sotto il regime dei talebani non è stato invece consentito di partecipare.
Amin spiega che alla riunione in corso ci sono principalmente due gruppi, il primo è totalmente contrario ai talebani, il secondo invece è disposto ad arrivare a un accordo con i fondamentalisti. L’obiettivo è unico, migliorare la situazione delle donne in Afghanistan. La giornalista condivide la visione del primo gruppo, per lei non ci si può fidare dei talebani, che “in tre anni non hanno fatto nulla per migliorare la situazione”. “Avrebbero potuto fare passi avanti per le donne, aprire le porte delle scuole per le bambine”, e invece “hanno messo in atto un’apartheid di genere, se sei donna non puoi studiare né lavorare”. “Hanno paura delle donne”, afferma, “perché sono molto intelligenti, possono progredire, raggiungere l’indipendenza economica” e così facendo non “dipenderebbero più dagli uomini”.
“La comunità internazionale si sta dimenticando delle donne afghane perché non ci sono interessi in Afghanistan”, sottolinea la giornalista. Ogni tanto ci sono dichiarazioni, parole, ma “occorre agire”. “Fino a quando le donne afghane dovranno soffrire?”, chiede. Secondo Amin la comunità internazionale dovrebbe “riconoscere che è in atto un’apartheid di genere, portare i talebani davanti alla Corte penale internazionale e fare pressioni su di loro”.
La giornalista ricorda perfettamente il 15 agosto di tre anni fa, quando i talebani presero il potere e lei lavorava per la tv pubblica. “La mattina ho presentato il notiziario delle 9, poi sono uscita per un servizio. I miei colleghi mi hanno chiamata dicendomi di non tornare in redazione perché i talebani avevano preso Kabul e potevano entrare in qualsiasi momento nell’ufficio per annunciare la loro vittoria. Ma io sono tornata lo stesso. Non c’era nessuno, solo tre persone, i capi. ‘Sei pazza, devi andare a casa’, mi hanno detto. Sono uscita in lacrime, sapendo che erano gli ultimi momenti che avrei passato lì”. Amin è riuscita poi a uscire dal Paese il 22 agosto del 2021 grazie all’aiuto di un collega cileno, di giornalisti e militari spagnoli. Negli ultimi anni in Afghanistan la sua vita era stata sempre in pericolo perchè i talebani, racconta, facevano attentati contro giornalisti e attivisti: “La mattina quando uscivo di casa non sapevo se sarei tornata viva”. Ora la reporter vive al sicuro in Spagna. “Ho la libertà, ma in realtà non me la posso godere”, racconta, “la mia mente è in Afghanistan, con le mie sorelle, e sento che devo lottare per loro”.
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