Il giudice spagnolo intervistato da LaPresse in occasione dei 50 anni dal colpo di Stato cileno dell'11 settembre 1973

 ‘Si dice che quando si è al centro dell’uragano ci si trovi nel posto più tranquillo, perché non si vede ciò che accade intorno a noi, non si vedono gli effetti del movimento naturale. In un certo senso quando si prende una decisione giudiziaria si è consapevoli degli effetti che può produrre, ma non si vede cosa sta succedendo, non si riesce a vedere ciò che accade in tempo reale perché si è concentrati su ciò che si deve fare’. L’uragano fu l’arresto a Londra di Augusto Pinochet, avvenuto la sera del 16 di ottobre del 1998, un venerdì, mentre l’ormai ex dittatore cileno si trovava in una clinica privata dopo un’operazione. Nel centro del ciclone, concentrato sul lavoro giudiziario da fare, il giudice spagnolo che firmò il mandato d’arresto, Baltasar Garzón, che intervistato da LaPresse in occasione dei 50 anni dal colpo di Stato cileno dell’11 settembre 1973 dipinge con quest’immagine lo stato d’animo dei giorni precedenti e successivi all’arresto.

La firma sul mandato d’arresto

Del golpe militare con cui il generale Pinochet pose fine al governo democraticamente eletto di Salvador Allende e al suo sogno socialista Garzón quell’11 settembre l’aveva saputo mentre era all’università a Siviglia, quando era un giovane studente di secondo anno di Giurisprudenza, in una Spagna ancora sotto la dittatura di Francisco Franco, in cui le proteste studentesche post golpe cileno vennero represse. Allora non poteva immaginare che 25 anni dopo sarebbe stata sua la firma sul mandato d’arresto in base al quale gli agenti di Scotland Yard entrarono nella clinica di Londra in cui si trovava e arrestarono un convalescente Pinochet che si stava riprendendo da un intervento alla schiena. Un arresto che avvenne grazie alle denunce di sparizioni e torture che due anni prima, nel 1996, erano state presentate in Spagna da vittime della dittatura, e che diede il via a 503 giorni di battaglie legali durante i quali Pinochet rimase a Londra ai domiciliari, in clinica prima e in una villetta affittata per l’occasione poi.

La “giurisdizione universale”

‘Giurisdizione universale’ è la parola chiave, e ai tempi il principio in Spagna era in vigore nella sua forma pura: ‘Non importa dove sia stato commesso il reato, né la nazionalità delle vittime, l’importante è che gli accusati non siano già stati giudicati e che non li si possa o voglia giudicare’, il che nel caso del Cile ‘era evidente’, visto che era in vigore una Legge di amnistia. È in virtù di questo principio che un giudice spagnolo ha potuto chiedere, e ottenere, l’arresto di un ex presidente cileno che si trovava nel Regno Unito.Un arresto che viste le successive riforme oggi non si sarebbe potuto richiedere. ‘Era probabilmente martedì di quella settimana’, quindi il 13 ottobre del 1998, quando ‘sono stato informato’ della presenza di Pinochet a Londra ‘da Joan Garces, che rappresentava le accuse di diverse vittime e della Fondazione Salvador Allende. Io gli ho detto: ‘Chiedi al mio collega Manuel Garcia-Castellón, che si occupa del caso (cileno ndr.), io mi occupo solo di una parte, una parte separata’.Lui mi ha detto che l’avrebbe fatto, ma che voleva parlarne anche con me e vedere quali possibilità ci fossero’.

Le indagini

In quel momento a essere titolare del dossier dei desaparecidos cileni era Garcia-Castellón (Aula numero 6 dell’Audiencia nacional), mentre Garzón era titolare del caso sui crimini della dittatura argentina (Aula numero 5), ma anche di un altro dossier recentemente aperto, sulla cosiddetta ‘Operazione Condor‘. È nell’ambito di questo caso che decide di iniziare a operare in parallelo rispetto al collega in modo discreto, per evitare di mettere in allerta lo stesso Pinochet. ‘Ho chiesto a Scotland Yard, attraverso l’Interpol, informazioni su dove si trovasse Pinochet e cosa stesse succedendo: all’inizio non sono stati molto gentili, volevano dire più o meno ‘che ti importa’. Ma grazie all’intervento del ministro consigliere dell’ambasciata britannica, con cui avevo un buon rapporto per altre circostanze’, le cose sono poi cambiate: ‘Mi ha chiamato e mi ha detto ‘le hanno risposto in modo inadeguato e se lo chiederà di nuovo le risponderanno in modo adeguato’. In effetti, ho risposto attraverso i corrispondenti mezzi ufficiali, attraverso l’Interpol, e mi hanno detto ‘sì, questo signore è in clinica, ci dica di cosa ha bisogno”. Inizialmente l’idea era quella di andare a Londra per raccogliere una dichiarazione dell’ex presidente cileno, idea che cambia in corsa quando Garzón viene a sapere che Pinochet intende lasciare Londra sabato 17 ottobre: ‘Tra l’una e mezza e le due del pomeriggio del 16 ottobre da Scotland Yard mi è stato detto: ‘non sarà possibile raccogliere la sua dichiarazione la prossima settimana perché questo signore ha detto che se ne va, domani se ne va”.

L’emissione del mandato

È a quel punto che il pomeriggio del 16 ottobre, un venerdì, Garzon decide di emettere il mandato d’arresto. Un documento scritto in modo molto stringato, per l’urgenza della situazione, ma non solo. ‘L’aneddoto è che quando emisi il mandato d’arresto, il funzionario che aveva l’istruzione della pratica era già andato via perché era venerdì ed erano le due del pomeriggio, quindi dovetti scrivere l’ordine d’arresto a memoria, scrivendo solo la prima parte e lasciando aperto il resto’, tanto che nelle successive 48 ore fu una corsa contro il tempo per ampliare il documento in modo da renderlo più solido. Il tutto avviene nella massima discrezione e anche l’allora premier spagnolo, José Maria Aznar, apprende dell’arresto a cose fatte, mentre si trova su un volo verso Oporto per recarsi al vertice dei Paesi ibero-americani. ‘Dovevo decidere se non fare nulla o chiedere l’arresto, e l’ho ordinato’, dice deciso Garzon. ‘Ho studiato la situazione e mi sono detto che avrei potuto fare qualsiasi cosa e sarebbe stato comprensibile, ma non avevo dubbi che se credevo nella giustizia, nella ricerca della verità, nel risarcimento delle vittime, non potevo non prendere una decisione che sapevo essere complicata’.

Le vittime della dittatura e la percezione della giustizia

L’ha ribadito più volte Garzon: il contatto con le vittime della dittatura gli ha cambiato la vita e la percezione della giustizia. ‘Verso le 10 di sera fui informato che il mandato d’arresto era stato notificato e che Pinochet era in arresto’. Una scelta difficile. Sia perché ‘dopo tutto Pinochet era un ex capo di Stato, un amico della Gran Bretagna, un amico di Margaret Thatcher in particolare, con complessità che potevano far pensare che una tale esecuzione non fosse possibile’, sia perché ‘non c’erano precedenti’ nell’applicazione della cosiddetta giurisdizione universale, nel senso che la competenza del tribunale spagnolo non era ancora stata confermata.Pinochet provò a farsi riconoscere l’immunità come ex presidente per evitare l’estradizione in Spagna, immunità che non fu riconosciuta. Ma il 3 marzo del 2000, dopo 503 giorni ai domiciliari nel Regno Unito, l’ex dittatore tornò in Cile a seguito della decisione dell’allora ministro dell’Interno britannico Jack Straw, del governo laburista di Tony Blair, di concendere il rientro per motivi umanitari legati alle condizioni di salute dell’ex dittatore; suscitò indignazione in molti però il fatto che, al suo arrivo in Cile, Pinochet si alzò in piedi dalla sedia a rotelle e proseguì a camminare solo sulla pista d’atterraggio, senza bisogno d’ausilio. Anni dopo Straw disse di essersi sentito ingannato da Pinochet. Non così Garzon: ‘L’unica cosa che ho sbagliato è che avevo previsto che Pinochet sarebbe sceso dall’aereo vestito da militare, ma per tutto il resto avevo ragione.Fra l’altro poi mi è stato detto che effettivamente si era pensato che potesse scendere come generale per passare in rassegna le truppe, ma c’è sempre qualcuno che a un certo punto ha un minimo di giudizio per dire di no e qualcuno disse che sarebbe stato controproducente, anche nei confronti dell’interessato”, ‘era ovvio, non è che io lo sapessi, è che le relazioni mediche erano fatte su misura’.

L’estradizione

Garzón ci tiene tuttavia a rivendicare la ragione giuridica: ‘La gente pensa che il procedimento non si sia concluso come avrebbe dovuto, invece sì: la magistratura britannica ha accolto la mia richiesta di estradizione e il giudice Roland Bartle ha concesso l’estradizione, però si sa che nel processo di estradizione c’è una parte giudiziaria e una parte politica, che influisce sulle relazioni tra gli Stati, e la parte politica in questo caso ha preso la decisione di rimpatriare l’interessato nel suo Paese e lì l’estradizione si è conclusa fisicamente, anche se giuridicamente è continuata ed è andata a buon fine’.

La difesa di Assange

È palpabile la fiducia nella giustizia in lui, che anche dopo la sospensione da giudice da parte della Corte suprema nel 2012 nell’ambito del cosiddetto caso Gürtel ha continuato a dedicarsi alle attività giuridiche ricoprendo incarichi a livello internazionale e assumendo la difesa di Julian Assange. Con l’arresto di Pinochet ‘penso che si siano aperte delle porte, l’idea di giustizia ha rotto le frontiere e, quando non era più possibile continuare ad avanzare qui, è ricominciata in Cile e in Argentina’. La riflessione di Garzon è che ‘quando la macchina della giustizia si mette in moto è difficile fermarla, anche volendo’. E cita un esempio: ‘Ricordo persino che al secondo turno delle elezioni del gennaio 2000 era Ricardo Lagos contro Lavín, lo stesso Lavín disse, credo il 5 o il 6 gennaio, ‘no no, che Pinochet venga in Cile per processarlo qui’. Il fatto che la destra cilena chiedesse il ritorno di Augusto Pinochet perché fosse processato in Cile era già un passo avanti, e infatti il giudice Guzman ha continuato ad avanzare nei suoi processi e con tutte le difficoltà’. ‘Se qualcosa ha impedito ad Augusto Pinochet di essere processato – conclude Garzon – è stata la sua morte, il 10 dicembre 2006, paradossalmente nella Giornata dei diritti umani’. 

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