La rivolta si è estesa a oltre 20 grandi città, fra cui la capitale Teheran dopo l'uccisione della 22enne

Continuano ad aumentare i morti in Iran nelle proteste scoppiate a seguito della morte a Teheran della 22enne Mahsa Amini, deceduta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto. Al momento le vittime sono 17. Bbc precisa che fra le nove persone rimaste uccise c’è anche un ragazzo di 16 anni, raggiunto da uno sparo quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui manifestanti. La rivolta si è estesa a oltre 20 grandi città, fra cui la capitale. Video pubblicati online e relativi alle proteste di mercoledì mostrano donne che sventolano i loro veli in aria o che li bruciano. In Iran indossare il velo, detto hijab, è obbligatorio per le donne dalla rivoluzione islamica del 1979.

Mahsa Amini, 22enne curda, era originaria della città nordoccidentale di Saqez. È morta in ospedale venerdì, dopo avere trascorso tre giorni in coma a seguito dell’arresto. Si trovava in visita nella capitale Teheran con la famiglia quando è stata arrestata dalla polizia morale, che l’ha accusata di violare la legge che obbliga le donne a coprire i capelli con un hijab e a indossare abiti che coprano braccia e gambe. Si è accasciata dopo essere stata portata in un centro detentivo. Secondo alcuni testimoni, gli agenti l’avrebbero colpita alla testa con un manganello e le avrebbero sbattuto il capo contro uno dei loro veicoli; la polizia nega invece che la donna sia stata maltrattata e sostiene che abbia avuto un problema cardiaco, mentre la famiglia replica che la giovane era in salute.

 

Il bilancio di 9 morti nelle proteste scoppiate per Mahsa Amini risulta anche ad Associated Press sulla base delle dichiarazioni riportate da media iraniani di Stato e semi-ufficiali. Le autorità iraniane hanno accusato non meglio precisati Paesi stranieri di provare a fomentare la rivolta, visto che negli ultimi quattro giorni le proteste sono cresciute sfociando in aperta sfida al governo, con donne che si tolgono il velo per le strade e iraniani che danno fuoco a pattumiere e chiedono la caduta della Repubblica islamica. “Morte al dittatore”, è uno degli slogan più gridato nelle proteste, che sono state registrate anche nei campus universitari di Teheran, oltre che in città ben lontane nella zona ovest del Paese, come Kermanshah. Secondo i media di Stato iraniani, le manifestazioni di questa settimana hanno interessato almeno 13 città, compresa Teheran. Video diffusi online mostrano le forze di sicurezza che lanciano gas lacrimogeni e usano cannoni ad acqua per disperdere i cortei. Amnesty International denuncia che gli agenti hanno usato anche pallini di metallo e picchiato i manifestanti con manganelli.

Nella provincia di origine di Amini, quella nordoccidentale del Kurdistan, il capo della polizia provinciale riferisce che 4 manifestanti sono stati uccisi da proiettili veri. A Kermanshah, il procuratore parla di 2 dimostranti uccisi da gruppi d’opposizione, insistendo sul fatto che i proiettili non sono stati esplosi dalle forze di sicurezza. Inoltre 3 uomini affiliati alla forza di volontari Basij, sotto la Guardia rivoluzionaria, sono rimasti uccisi in scontri nelle città di Shiraz, Tabriz e Mashhad, secondo quanto riportano i media semi-ufficiali, il che porta appunto il bilancio complessivo a 9 morti.

Oggi proseguono inoltre le interruzioni diffuse di Instagram e WhatsApp, che i manifestanti utilizzano per condividere informazioni sulla repressione del dissenso da parte del governo. Con il diffondersi delle proteste, inoltre, le autorità bloccato l’accesso a internet in alcune parti del Paese, secondo NetBlocks, un gruppo con sede a Londra che monitora l’accesso a internet, che definisce queste restrizioni le più severe dalle proteste di massa di novembre 2019.

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