Si vuole evitare, insomma, che l'Italia diventi un'altra Ungheria, che vive le indicazioni come ricatti e le trasforma in oggetto della retorica antieuropea, che preferisce la via dello scontro, delle infrazioni e delle carte bollate, al dialogo costruttivo fondamento del progetto europeo
A Bruxelles la chiamano ‘tempesta perfetta’, dall’espressione usata dal commissario Paolo Gentiloni dopo la caduta del governo Draghi. Al momento è solo un rischio ma la paura che la crisi italiana indebolisca il progetto europeo con il riemergere dei populismi dalle urne è grande. Per i liberali non ci sono dubbi: “L’estrema destra e i populisti hanno aperto una nuova crisi politica in Italia che avrà un impatto in tutti i paesi europei”, ha commentato il presidente del gruppo Renew Europe al Parlamento europeo, Stéphane Séjourné, “queste persone sono pericolose per le nostre democrazie” perché “metteranno sempre i loro partiti davanti alla nazione”. Stesso dicasi per i socialisti che si dicono “preoccupati” e considerano “i populisti assieme al Ppe i responsabili di questa situazione” e che hanno reagito duramente al tentativo del capogruppo del Ppe, Manfred Weber, di addossare la colpa della crisi solo al M5s. La Commissione, che aveva rimandato alle parole sull’ottima collaborazione con Draghi, ufficialmente non si esprime ma nei palazzi di Bruxelles la preoccupazione è evidente.
Da una parte l’instabilità dei prossimi tre/quattro mesi necessari alla formazione del governo, sperando che le urne restituiscano un esito chiaro, dall’altra il timore che prevalga una destra sovranista antieuropea, dopo aver scampato il pericolo Le Pen in Francia. Si vuole evitare, insomma, che l’Italia diventi un’altra Ungheria, che vive le indicazioni di Bruxelles come ricatti e le trasforma in oggetto della retorica antieuropea, che preferisce la via dello scontro, delle infrazioni e delle carte bollate, al dialogo costruttivo fondamento del progetto europeo. Draghi, insomma, era una garanzia di stabilità, di atlantismo ed europeismo, soprattutto in tempi di guerra, e veniva considerato un punto di riferimento europeo assieme al presidente francese Macron (Scholz non ha la stessa autorevolezza di Merkel), in grado di convogliare il consenso sulla concessione dello status di candidato Ue all’Ucraina. C’è poi il rischio frammentazione nella zona euro, e negli ambienti della Bce non nascondono tutta la loro ansia per le reazioni dei mercati e il pericolo che si torni a scommettere sull’Italia come anello debole dal debito monstre. Ma i guai non sono solo per l’Europa, perché a Roma si rischia di non ottenere importanti fonti di finanziamento, a cominciare dal Pnrr. Dopo il prefinanziamento da 25 miliardi ricevuto lo scorso agosto e il versamento della prima rata da 21 miliardi ad aprile (grazie ai 51 obiettivi raggiunti a dicembre), ora l’Italia attende il pagamento della seconda rata da altri 21 miliardi. A conti fatti, compresa la proroga di un mese per l’estate, il pagamento potrebbe arrivare come massimo a fine ottobre. Ma l’Ue, secondo quando riferito a LaPresse da una portavoce della Commissione, avverte che “sebbene le scadenze di cui alla decisione di esecuzione del Consiglio siano indicative, è importante che tutti gli Stati membri facciano del loro meglio per garantire la tempestiva attuazione delle riforme e degli investimenti a cui si sono impegnati”. Non solo, gli Stati possono richiedere i pagamenti quando vogliono, due volte l’anno, ma la Commissione incoraggia “a farlo una volta che tutte le pietre miliari e gli obiettivi nell’ambito del relativo esborso sono stati raggiunti”.
“La Commissione continuerà a valutare le richieste di pagamento dell’Italia sulla base del soddisfacente raggiungimento delle tappe intermedie e degli obiettivi delineati”. E di fronte ci sono tutti gli obiettivi del secondo semestre, di cui, dalla probabile entrata in carica del nuovo governo, rimarranno forse tre mesi scarsi. Ricordiamo poi gli oltre 200 miliardi di euro messi a disposizione dal piano Energia RePowerEu: in gran parte sono fondi non erogati del Next Generation Eu (altri dovrebbero venire dai fondi coesione, quote Ets e fondi Pac) che i paesi dovranno richiedere aggiungendo un nuovo capitolo al loro piano di ripresa e resilienza da sottoporre alla Commissione. In un primo momento potranno accedere a questi nuovi fondi solo i paesi che non hanno richiesto i prestiti (e non solo le sovvenzioni a fondo perduto) all’interno del Next Generation. L’Italia ha chiesto già tutta la quota di prestiti, quindi dovrà attendere la parte rimanente, che comunque sarà distribuita seguendo i criteri di assegnazione del Recovery, di cui l’Italia è il maggior beneficiario. Si tratta di poche settimane e a Roma sarebbe stato utile farsi trovare col piano pronto il prima possibile. C’è poi la questione della ratifica del nuovo trattato di riforma del Meccanismo di Stabilità (Mes), approvata da tutti i paesi, tranne la Germania (perché in attesa di un ricorso alla Corte costituzionale) e l’Italia, che si era impegnata più volte con le parole del ministro Franco a un via libera veloce. La questione balneari, di chi l’Europa chiede da anni la liberalizzazione come avvenuto in tutti gli altri settori, oltre a essere oggetto di una procedura di infrazione dal 2020, era anche inserita tra gli obiettivi del Pnrr a cui il governo stavo lavorando. Per salvare il salvabile si sta pensando di approvare il ddl concorrenza anche col governo dimissionario, stralciando la contestata norma sui taxi, ma almeno sanando la questione balneari. Rimangono poi tutte le procedure di infrazione a carico dell’Italia, che dopo l’ultimo pacchetto di luglio della Commissione europea, scendono a 84, di cui 58 per violazione del diritto dell’Unione e 26 per mancato recepimento di direttive.
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