Solo sette senatori repubblicani hanno votato contro l'ex presidente
Non sono mancati i colpi di scena nella quinta giornata del processo di impeachment nei confronti di Donald Trump. È un Senato confuso quello che, in una rara seduta di sabato, si è riunito per decidere sulle sorti dell’ex presidente, accusato di “incitamento all’insurrezione” per l‘assalto al Campidoglio del 6 gennaio. Ma alla fine, dopo una dura battaglia in aula, l’ex presidente è stato assolto: ai democratici non sono bastati i voti dei sette senatori repubblicani che si sono uniti alla loro causa.Trump esulta, ringrazia i suoi legali e condanna il processo di impeachment come “un’altra fase della più grande caccia alle streghe nella storia del nostro Paese”. Poco dopo l’assoluzione annuncia poi che il suo movimento Make America Great Again “è solo all’inizio”.
Intanto la battaglia politica è accesa: mentre il leader della maggioranza al Senato, il repubblicano Mitch McConnell, di fatto accusa Trump di essere colpevole ma dice di aver votato contro perché l’impeachment contro un ex presidente “avrebbe creato un pericoloso precedente”, la leader democratica della Camera Nancy Pelosi accusa senza mezzi termini lui e gli altri repubblicani di “codardia”.Sono mancati alla fine 10 voti, che i democratici non sono riusciti a strappare neanche con le dure arringhe finali dell’accusa. Jamie Raskin ha chiuso le argomentazioni dei responsabili dell’impeachment sottolineando il significato storico del voto: “Questo – ha detto rivolgendosi ai senatori – è quasi certamente il modo in cui sarete ricordati dalla storia. Che tipo di America saremo?”.
Ma l’ultimo giorno del procedimento, il primo contro un presidente non più in carica, è stato caotico. Era da poco cominciata la fase finale, quando l’accusa ha chiesto a sorpresa di potere citare come testimone la deputata del Gop Jaime Herrera Beutler, finita sotto i riflettori dopo avere rivelato una telefonata tra il leader della minoranza repubblicana alla Camera, Kevin McCarthy, e il magnate, nella quale quest’ultimo avrebbe rifiutato di fermare i rivoltosi durante l’attacco a Capitol Hill. “È stato allora che, secondo McCarthy, il presidente ha detto: ‘Bene, Kevin, immagino che queste persone siano più arrabbiate per le elezioni di te'”, ha scritto la deputata in un post su Twitter, rivelando ciò di cui era venuta a conoscenza. La Camera alta in un primo momento ha approvato, con il voto favorevole di 55 senatori, compresi 5 repubblicani tra cui la ex fedelissima del tycoon Lindsey Graham, la richiesta dell’accusa, salvo poi fare marcia indietro con un accordo che prevede l’inclusione a verbale della dichiarazione di Beutler. La decisione di includere testimonianze del procedimento, infatti, aveva portato a un impasse, considerato che i processi di impeachment sono rari e le regole vengono negoziate per ognuno. Per la messa in stato di accusa di Trump l’accordo prevedeva che, in caso di consenso, sarebbero stati consentiti voti per ulteriori testimonianze, mossa che avrebbe dilatato incredibilmente le tempistiche del processo.
A rimanere granitico, invece, McConnell, che se ultimamente sembrava essersi schierato su posizioni critiche nei confronti del tycoon, questa volta non ha fatto venire meno il suo supporto. McConnell già in mattinata aveva infatti fatto sapere che avrebbe votato in favore dell’assoluzione dell’ex presidente. In ogni caso, per arrivare a una condanna occorrevano i voti di 67 senatori, una soglia molto elevata per i democratici, che hanno 50 seggi, oltre a quello della vicepresidente Kamala Harris. I sette repubblicani guadagnati alla causa, alla fine, non sono bastati
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