L'ex militare e i suoi sostenitori festeggiano la vittoria, ma adesso comincia il difficile: rimettere in piedi il gigante del Sudamerica sarà una vera impresa

Per giorni, parafrasando il motto che è stampato all'interno della bandiera verdeoro, i sostenitori del nuovo presidente del Brasile, Jair Messias Bolsonaro, hanno scritto sui social che 'ordem è progresso', come a voler sottolineare il bisogno estremo di riportare la legalità all'interno di un Paese vasto quanto l'Europa che conta circa sessantamila omicidi all'anno in assenza di una qualsiasi guerra civile. Il 55,13% dei brasiliani ha scelto lui – ex capitano dell'esercito, rude ai limiti dell'accettabile, etichettato dai suoi detrattori come Bolsonazi per le evidenti inclinazioni verso la destra più radicale e una dialettica da spaghetti-western, con lo scopo di rimettere ordine e rilanciare il progresso di una nazione inghiottita da una crisi economico-sociale senza precedenti.

Per la verità, Bolsonaro, 63 anni, paulista di Campinas, è stato aiutato involontariamente nella sua ascesa al Palazzo del Planalto dagli ultimi tredici anni di gestione del Pt – il Partido Dos Trabalhadores – dagli scandali che hanno portato l'ex presidente Lula in carcere (attualmente a Curitiba) e l'ex presidenta Dilma Rousseff fino all'impeachment. Il terremoto causato dall'operazione 'Lava jato', pressapoco l'italiana Mani Pulite, è stato il principio, poi tutto è venuto a ruota. Fernando Haddad, che di Lula e Rousseff era in teoria l'erede, non è andato oltre il 44,87%, incapace di rimontare nel ballottaggio, cominciato e finito con un esito già scritto. Qualcuno ha detto che nemmeno Nossa Senhora de Copacabana, la madonna dei carioca, avrebbe potuto aiutarlo in una sfida impari.

La sintesi del voto sarà motivo di analisi nelle prossime settimane ma è indiscutibile che il Brasile esca da queste elezioni profondamente spaccato, ancora di più di quanto non lo sia sempre stato, esempio di contraddizioni e diseguaglianze. Gli stati ricchi e bianchi del Sud, da San Paolo a Santa Catarina, dal Rio Grande do Sul al Paranà, hanno premiato in maniera massiccia il nuovo presidente che ha fatto incetta di voti anche nelle grandi metropoli. Al Nord, tradizionalmente più povero, la sinistra invece ha retto l'urto: la fionda contro un kalashnikov. Adesso, però, comincia il difficile: rimettere in piedi il gigante del Sudamerica non sarà semplice, riconquistare la dignità economica assai complicato, riportare la legalità interna una mission quasi impossible. E' vero che L'Uomo Nero (lo hanno soprannominato così e l'accostamento cromatico è abbastanza chiaro) ha esplicitato un paradigma di slogan da brividi e quindi potrebbe essere capace di tutto, però avrà lo sguardo addosso della comunità internazionale e certi fuori programma non potrà concederseli.

Sfruttando come sempre la penetrazione mediatica di Facebook, Bolsonaro ha commento con toni moderati la sua elezione. Poteva fare peggio: "Dobbiamo abituarci a vivere insieme per ritrovare la prosperità perduta. Grazie a Dio sono riuscito a interpretare la volontà dei nostri concittadini. Il Paese chiedeva un cambio. Non potevano continuare a vivere con il populismo, l'estremismo, il comunismo della sinistra. Dobbiamo seguire l'insegnamento di Dio. Faremo un governo che possa portare il nostro Brasile nel posto che merita. Abbiamo le condizioni per governare, con i nostri parlamentari. Tutti gli impegni che abbiamo assunto saranno rispettati e portati a termine. Sapevamo dove dovevamo andare e ora sappiamo dove andiamo. Ringrazio il brasiliani per la fiducia dimostrata".
Al Planalto lo aspettano. E non solo al Planalto.

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