Il voto si terrà in un contesto anomalo, con 13 politici separatisti accusati dalla procura spagnola di ribellione e sedizione

Catalogna al voto giovedì, 21 dicembre, per le elezioni regionali anticipate, indette da Madrid nell'ambito della crisi seguita al referendum del 1° ottobre sull'indipendenza. A convocarle fu il premier spagnolo, Mariano Rajoy, dopo avere rimosso e commissariato l'esecutivo regionale dell'allora governatore catalano Carles Puigdemont. Il voto si terrà in un contesto anomalo, con 13 politici separatisti accusati dalla procura spagnola di ribellione e sedizione: fra loro lo stesso Puigdemont, che si trova in autoesilio in Belgio insieme ad altri quattro ex ministri (cioè Clara Ponsati della Salute, Antoni Comin dell'Istruzione, Lluis Puig della Cultura e Meritxell Serret dell'Agricoltura).

Il risultato delle elezioni catalane, alle quali è attesa una partecipazione record superiore all'80%, sarà fondamentale per la futura stabilità non solo della Catalogna, ma anche dell'intera Spagna. Ma, stando agli exit poll, verrà fuori un quadro della regione spaccato, diviso fra chi appoggia l'indipendenza e chi invece intende restare parte della Spagna. Il quotidiano El Pais ha aggregato i risultati di 12 sondaggi, ipotizzando il numero di seggi che spetterebbe a ogni partito: in base a queste previsioni, gli indipendentisti non otterrebbero la maggioranza nel Parlamento locale. Il partito indipendentista Erc dell'ex vice governatore Oriol Junqueras ora in carcere arriverebbe primo, con 33 seggi; seguirebbe, con uno o due seggi in più, la formazione centrista Ciudadanos (Cs) favorevole invece all'unità della Spagna; mentre il partito Junts per Catalunya (JxCat) di Puigdemont arriverebbe solo al terzo posto, con 27 seggi; seguito dal Partito socialista catalano al quarto posto con 20 seggi. Si prospetta invece un risultato umiliante per il Partito popolare di Rajoy, che otterrebbe solo sei seggi.

Sembra dunque prospettarsi un esito senza nessun chiaro vincitore e senza una ipotesi chiara di maggioranza da potere formare. Due le ragioni più probabili di questa prevista non maggioranza indipendentista alle urne. In primo luogo la preoccupazione per l'economia catalana, con circa 3mila società in fuga dalla regione sull'onda dell'instabilità derivata dal referendum sull'indipendenza del 1° ottobre, dichiarato illegale dalla Corte costituzionale. In secondo luogo, il fatto che molte persone che non hanno votato alle elezioni generali spagnole di settembre del 2015 adesso saranno spinte ad andare alle urne e tenderanno a opporsi all'indipendenza.

La campagna elettorale di Erc e JxCat è stata senz'altro condizionata dal fatto che i suoi leader si trovano rispettivamente in carcere (Junqueras, con l'accusa di ribellione, sedizione e abuso di fondi pubblici in relazione al referendum del 1° ottobre) e in esilio (cioè Puigdemont). Anche se è pur vero che su questa situazione anomala si è incentrato il discorso politico dei leader per presentare in cattiva luce la leadership di Madrid in vista del voto. I sostenitori dell'unità spagnola invece, dal canto loro, hanno puntato il loro discorso politico sul danno economico che la regione ha subìto dall'incertezza legata alla possibilità dell'indipendenza. Un danno economico, tuttavia, che è anche spagnolo, dal momento che dalla Catalogna deriva un quinto del Pil della Spagna.
 

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