Col programma "Frontera Sur" nuove rischiose rotte per chi dal Centro America fugge al Nord

Oggi, in occasione della visita di Papa Francesco a Ciudad Juarez (nello Stato settentrionale di Chihuahua, sul confine con gli Stati Uniti, di fronte alla città texana di El Paso), intervistiamo Flaviano Bianchini, attivista e scrittore, che ha percorso 4mila chilometri con i migranti che sognano l’America.  E pubblichiamo un’inchiesta su ‘Messico e migranti, storia di una terra di passaggio’, perché dopo i controlli messi in atto dal programma “Frontera Sur” le rotte, per chi dal CentroAmerica cerca un posto al sole al Nord, si sono rinnovate e fatte più rischiose

 

Il Messico non è solamente una terra di partenza ma anche un luogo di passaggio per chi vuole emigrare verso gli Stati Uniti d’America. Un fenomeno migratorio che è diventato negli anni, sempre meno gestibile  da parte del governo federale messicano e che, ovviamente, non ha potuto che coinvolgere in maniera sempre più diretta anche gli stessi Usa. A tentare la strada messicana per raggiungere il Nord America sono migranti provenienti dal triangolo centramericano composto da El Salvador, Guatemala e Honduras. A spingerli verso un cammino duro e incerto le condizioni di vita proibitive nel loro paese di origine. 

L’affusso attraverso il Messico ha però preoccupato il governo locale che, poco più di un anno e mezzo fa, ha deciso che per regolamentare la situazione ai suoi confini meridionali serviva qualcosa ad hoc. Il nome è semplice, Programma “Frontera Sur”, un programma, dunque,  specifico per la frontiera meridionale del Paese, ovvero quella che fa da cerniera con i tanti paesi dell’America Centrale. Da lì, come detto, provengono i migranti che vedono nel Messico il transito obbligato per cercare fortuna in Nordamerica. Ma qual è lo scopo del programma annunciato nel luglio del 2014? Ridare ordine al fenomeno migratorio e, sulla carta, tutelare i diritti dei migranti che viaggiano attraverso lo stato messicano. Facendo affidamento anche sull’aiuto, economico e di mezzi, da parte degli Stati Uniti d’America. Sono proprio gli Usa ad essere coinvolti in maniera forte nel fenomeno migratorio: non solo perché sono il punto di arrivo privilegiato delle traversate, ma perché la politica di rimpatrio, verso il Centro America, da parte del Department of Homeland Security è spesso al centro delle critiche di molte ong. Il ritorno  negli insicuri paesi di orgine è solo uno dei tanti rischi che emergono in un’analisi del fenomeno migratorio, ma ne è l’obbligatorio punto di partenza.

 

IL TRIANGOLO CENTRAMERICANO  El Salvador, Guatemala, Honduras, luogo di origine di gran parte dei migranti sono un triangolo pericoloso. Sono storie di violenza ed emarginazione ad animare le lunghe e rischiose traversate per cercare un posto al sole in Nord America. A confermarlo sono i dati, recentementi ripubblicati dalla ong Wola (con numeri che provengono da Instituto Universitario de Opinion Publica y Prensa grafica (El Salvador) , Central American Business Intelligence e Policia Nacional Civil (Guatemala), Instituto Universitario en Democracia, Paz y Seguridad  e El Heraldo (Honduras): per El Salvador si parla di un tasso di omicidi altissimo, 103 ogni 100mila abitanti, con oltre 6000 morti nel 2015, un netto 70% in più rispetto all’anno precedente. Non sono da meno Honduras e Guatemala, con 57 e 30 omicidi ogni 100mila persone. Dati che sono forse più facilmente analizzabili se rapportati a quello degli Stati Uniti che, per quanto riguarda il 2015, si aggira intorno ai 5.

Ma, omicidi a parte, la violenza permea anche altri aspetti della vita quotidiana. Secondo i dati riportati dal quotidiani dell’Honduras La Prensa, il giro di affari delle estorsioni in El Salvador è di 400 milioni di dollari, 200 milioni in Honduras e 61 in Guatemala. Un report del 2013 stima nel 70% gli imprenditori del Salvador vittima di estorsione e sono centinaia i morti proprio a causa della mancata capacità di pagare le estorsioni messe in pratica dalle gang criminali.

Nei mesi di attività del “Frontera Sur” sono cresciuti esponenzialmente gli arresti: secondo i dati dei bollettini statistici della Secretaría de Gobernación messicana che si occupa di immgrazione, nel primo anno di attività del programma, voluto dal presidente messicano Peña Nieto, sono aumentati del 71% rispetto all’anno precedente. I controlli di frontiera fermano i migranti nel sud del Paese, soprattutto negli stati del Chiapas, di Veracruz e Tabasco. Nel mirino i treni cargo che attraversando i paese venivano utilizzati come mezzo di locomozione, stazionando sul tetto dei vagoni: decine di operazioni hanno di fatto ridotto il ricorso a questo mezzo di trasporto. Ma le attività si sono focalizzate anche su percorsi stradali con perquisizioni a tappeto su auto e bus.

Il totale delle deportazioni e degli arresti è cresciuto dal varo del programma: secondo i bollettini statistici del governo di Città del Messico i 79mila centroamericani fermati e rimpatriati nel 2013, sono diventati 105mila nel 2014 ed erano già 118mila nei primi nove mesi del 2015.

Controllati dai checkpoint sulle strade, allontanati dai treni, i migranti hanno scelto nuove vie per attraversare il Messico: nascosti nei veicoli dei trafficanti, o sfruttando taxi per un certo tragitto e completandolo a piedi. Di fatto sono però usciti non solo dal radar governativo ma anche da quello dell’assistenza umanitaria che aveva creato dei presidi lungo i tradizionali percorsi, esponendosi così a maggior rischi. Il mancato monitoraggio delle ong attive sul territorio ha inoltre ridotto la capacità di accertare abusi da parte delle autorità messicane mentre questa lontananza dalle vecchie strade ha aumentato i soldi necessari per pagare i trafficanti di persone e per corrompere gli ufficiali di polizia nella corsa a un posto al sole in Nord America come hanno raccontato i giornalisti messicani che fanno riferimento al gruppo Periodista de A Pie.

Nel suo paper di analisi delle nuove rotte dei migranti, il Wola descrive questi cambiamenti:

Rotte usate da donne e bambini: Se nel passato l’utilizzo di vie che prevedevano la corruzione di ufficiali era indicato per donne e bambini (con gli uomini che sceglievano di attraversare il paese sopra i treni), ora questo modo è diffuso su larga scala a tutti, uomini inclusi.

Rotte attraverso gli altipiani del Chiapas:  Rotte un tempo meno frequenti vengono ora sfruttate in maniera più consistente, ma sul cammino sono pochi i punti di accoglienza per i migranti e spesso si è vittime della criminalità organizzata.

– Rotte attraverso strade di campagna: Un viaggio più lungo ma per strade meno controllate.

– Giungla sul confine tra Chiapas e Guatemala: Un punto facile di entrata, poco controllate, per poi arrivare nel centro del paese e proseguire il viaggio.

Sul Pacifico a bordo di navi: Piccole navi dal Guatemala al Chiapas, con soste frequenti. Una via ancora scarsamente utilizzata

 

DIRITTI SCONOSCIUTI Scappare dal Centro America non vuol dire per forza tentare la carta Usa, anche cercare protezione in Messico potrebbe essere una valida alternativa per i migranti. Questo soprattutto alla luce della differente definizione di “rifugiato” nei due paesi. Se per gli Stati Uniti ci sono restrizioni pesanti, e deve essere dimostrata una persecuzione dovuto all’appartenza a un gruppo sociale, etnico, religioso o per le proprie opinioni politiche, la legge messicana dal 2011 offre la possibilità di “diventare un rifugiato” a chi scappa da paesi dove regna la violenza, dove ci sono violazioni di diritti umani.

Sembrerebbe un paradiso di possibilità per i migranti in fuga dai territori, caldissimi, del CentroAmerica. Tuttavia, in concreto, i numeri dimostrano che così non è e che degli oltre 165 mila migranti arrivati in Messico tra ottobre 2014 e settembre 2015, pochissimi hanno visto riconoscersi lo status di rifugiato. Stando ai dati della Comision Mexicana de Ayuda a Refugiados nel 2014 sono stati riconosciuti questi diritti solo a 451 persone, il 21% di quelle che avevano fatto richiesta. Altri 79 hanno ricevuto un parziale supporto ma il mancato riconoscimento del loro status. Se guardiamo al solo 2015 solo 369 persone sono state accolte come rifugiati, su 1684 richieste, il 92% delle quali provenienti proprio dal triangolo centroamericano che abbiamo visto essere il luogo di origine dei migranti.

Negli ultimi mesi sono infatti aumentati i casi di denuncia a ufficiali dell’INM, soprattutto per abusi di diritti umani. Dalle 450 denunce del 2014 si è arrivati alle 511 per i primi otto mesi del 2015, secondo i dati della Comision Nacional de los derechos humanos (CNDH)Lo scorso settembre quattro agenzi in forza all’INM sono stati arrestati perché sorpresi dalla polizia federale all’interno di un circuito di traffico di migranti; sempre il CNDH ha invece raccontato gli abusi sessuali che una giovane ragazza proveniente dall’Honduras ha subito da un agente INM mentre era detenuta in un centro migranti.
Detenzione, ecco un altro punto dolente. Sebbene l’ingresso in Messico senza adeguata documentazione sia stato depenalizzato nel 2008, riducendolo a un illecito amministrativo, è uso comune detenere in strutture ad hoc (estaciones migratorias) le persone sprovviste di documenti. Secondo la legge messicana questa detenzione può arrivare fino a 60 giorni lavorativi. Le strutture di accoglienza sono carenti dal punto di vista sanitario e scarsamente accessibili. La corruzione e l’ingresso consentito alle gang criminali rendono la detenzione un incubo dove i migranti possono essere vessati in maniera simile a quanto accade durante il viaggio.

Tra le rotte della disperazione le più pericolose rimangono quelle che attraversano il Chiapas. Un’analisi di Animal Politico, centro di documentazione investigativa giornalistica, ha parlato di un aumento di rapine nelle zone di confine dell’81% ai danni dei migranti. Ad attuarle gang criminali, ma anche ufficiali messicani e privati cittadini delle zone di passaggio che vedono nei flussi migratori dei facili bersagli. 

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