di Matteo Bosco Bortolaso

Parigi (Francia), 14 nov. (LaPresse) – Il teatro Bataclan di Parigi, dove i terroristi si sono barricati uccidendo uno ad uno gli ostaggi facendosi poi saltare in aria, era nel mirino dei jihadisti da anni per i suoi legami con la comunità ebraica parigina. La sua architettura ricorda una pagoda cinese. Il nome si riferisce ad un’opera di Jacques Offenbach. E’ stato teatro, cinema, quindi sala da concerti e ha ospitato il meglio delle musica di ieri e di oggi: Lou Reed, Oasis, Stromae, The Kills, Téléphone e Fauve. Ora è diventato il simbolo di lutto e terrore.

Nel febbraio del 2011, il giornale ‘Le Figaro’ raccontava che in Francia la direzione centrale dell’intelligence per l’Interno (DCRI) aveva ascoltato una collaboratrice di terroristi qaedisti, Dodi Hoxha, secondo cui “c’era un progetto di colpire il Bataclan” preparato da un altro sospetto, Farouk Ben Abbes. Un’altra incarcerata, Fatima F., avrebbe giustificato un’azione contro il teatro perché “i proprietari sono ebrei”.

Le tracce che avevano portato gli investigatori verso il teatro Bataclan partono da un attentato che, nel febbraio 2009 contro un souk frequentato da giovani turisti francesi al Cairo, aveva ucciso una 17enne e ferito 24 persone. Nel maggio 2009 erano stati arrestati alcuni sospetti, tra cui appunto una francese di origine albanese, Dodi Hoxha. La cittadina francese, considerata dagli investigatori “affiliata ad al-Qaeda” ed in particolare vicina al capo della cellula nella Striscia di Gaza, Khaled Moustafa, nega di essere coinvolta nell’attentato e dice di aver subito un “lavaggio del cervello”.

Ancora prima, nel 2007, il teatro aveva ricevuto minacce islamiste per aver ospitato un accordo in sostegno delle “guardie di frontiera israeliane”. Nel dicembre 2008, durante l’operazione Piombo Fuso di Israele nella Striscia di Gaza, viene diffuso un video con una decina di giovani, con i volti mascherati da una kefiah: “Se il Bataclan e il Migdal organizzano, come gli anni passati, un gala per il Magav, la polizia di frontiera israeliana, la gente non lo sopporterà più – scandivano i giovani autodefinitisi ‘Restistenza palestinese’ – e voi pagherete le conseguenze dei vostri atti: la prossima volta non se ne parlerà più”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata