Di Valentina Innocente

Torino, 14 ott. (LaPresse) – Strade bloccate. Accesso ai negozi vietato. Elettricità a tratti e sotto il controllo di Israele. “Viviamo sotto occupazione, non abbiamo alcuna libertà. Neanche per difenderci“. Il vicesindaco di Hebron, Jawni Abusneina, è a Torino per presentare un progetto sulle energie rinnovabili in occasione del terzo Forum dello Sviluppo economico locale. Ma l’attenzione è rivolta alla sua città divisa tra Israele e Autorità nazionale palestinese, ai suoi 200mila concittadini e all’escalation di violenze e tensioni registrate negli ultimi giorni in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

È in corso davvero una terza Intifada, così come è stata definita da Hamas?

“Purtroppo negli ultimi mesi, con l’intervento massiccio delle forze israeliane, le provocazioni contro la popolazione palestinese sono all’ordine del giorno: lungo le poche strade che possiamo percorrere, di fronte ai posti di blocco, nelle moschee. I giovani, che nel nostro Paese rappresentano il 50%, da anni si sentono senza speranza, senza un progetto di vita a causa dell’occupazione israeliana. E allora reagiscono. Ma rispondono con pietre e coltelli. Israele uccide”.

È responsabilità di Israele dunque questa nuova ondata di attacchi?

“Io posso parlare della situazione che viviamo a Hebron. Dal 1997 Hebron è una città divisa in due: Hebron 2 sotto controllo dell’esercito israeliano, e Hebron 1, affidata al controllo dell’Autorità Palestinese. Dagli accordi, questa divisione doveva durare cinque anni. Ne sono trascorsi invece 22, in cui la popolazione palestinese si è vista impedire gli accessi a strade comunali, ha assistito alla sottrazione volta per volta parti di città dedicati agli insediamenti dei coloni. Si tratta di oltre il 60 percento della città che è sotto controllo israeliano dove noi non possiamo lavorare o sfruttare la terra per far crescere la nostra economia. È normale che i giovani, il cui tasso di disoccupazione è quasi totale, siano stremati da questa situazione. Non vedono futuro e reagiscono alle provocazioni”.

Che tipo di provocazioni?

“Un esempio su tutti: nel centro storico della città vivono circa 400 coloni, protetti e custoditi da 2mila soldati. Ogni giorno i coloni distruggono le nostre viti, se incontrano per strada un giovane palestinese lo spingono, lo insultano, lo aggrediscono. In centro disturbano i negozianti, bruciano i cassonetti dell’immondizia. Il tutto sotto gli occhi dell’esercito israeliano che concede ogni tipo di prevaricazione. I nostri giovani reagiscono. Non dico sia giusto, capisco solo la frustrazione che vive la nostra gente”.

Come amministrazione come potete intervenire dal punto di vista politico?

“Noi stiamo cercando da anni di portare avanti progetti che incentivino l’occupazione e lo sviluppo economico della città. Ma non è facile. Abbiamo vincoli e limitazioni ovunque ci muoviamo. Però, grazie agli aiuti internazionali, siamo riusciti a creare qualcosa. Oggi sono qui in Italia proprio per presentare un progetto realizzato con la città di Torino sulle energie rinnovabili. Dal momento che la nostra elettricità, la nostra energia in generale, è sotto il controllo rigido di Israele e il nostro accesso a essa è fortemente condizionato, abbiamo deciso di guardare ad altro, come all’energia green. É un progetto in via di sviluppo che però ci permetterà nel tempo di essere indipendenti e di creare nuove opportunità lavorative in una città che ha il tasso di disoccupazione del 26%, uno dei più alti della regione”.

Cosa chiedete alla comunità internazionale?

“Noi da anni come amministrazione e come Autorità nazionale palestinese stiamo cercando di portare avanti il processo di pace ma vediamo che non c’è speranza di realizzare l’idea dei due Stati che vivono in armonia uno accanto all’altro. Noi crediamo che questa occupazione debba finire, perchè si tratta dell’ultima occupazione di uno Stato su un altro in tutto il mondo. Chiediamo specialmente ai nostri amici europei di rispondere a questa situazione con un fatto politico, con il riconoscimento globale da parte dell’Europa dello Stato Palestinese. Non chiediamo armi, non chiediamo niente, se non il vostro aiuto per la pace”.

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