Bangkok (Thailandia), 18 ago. (LaPresse/EFE) – Molte ipotesi, nessuna certezza, circolano a Bangkok sulla responsabilità del peggior attacco terroristico che abbia colpito la capitale thailandese, dove ieri una esplosione ha ucciso più di 20 persone. Fonti del governo militare hanno parlato ai media locali di una pista legata alla minoranza uigura, mentre politici e accademici non escludono che gli attacchi siano stati commessi per motivi di politica interna. Il governo ha accusato i responsabili di voler distruggere il turismo e l’economia del Paese, mentre ancora nessuno ha rivendicato la responsabilità dell’azione.



Indagini celeri. Il premier Prayut Chan-ocha ha promesso che le indagini per trovare i responsabili saranno condotte il più velocemente possibile, parlando del “peggior incidente mai accaduto in Thailandia”. Intanto, le autorità stanno cercando un giovane ripreso dalla telecamere di sorveglianza poco prima dell’attacco al santuario Erewan, nel centro della capitale. Nelle immagini si vede un uomo con tratti asiatici che si avvicina al luogo dell’esplosione, nell’area dove si trovano molti hotel di lusso e centri commerciali. Indossa una maglietta gialla e uno zaino, che abbandona prima di allontanarsi.



Si indaga a tutto campo. La polizia ha dichiarato di non poter escludere alcun gruppo come presunto responsabile dell’attacco, inclusi elementi che si oppongono al governo militare. Il riferimento è a gruppi politici del Paese, come le Camicie rosse, oppure a gruppi di etnia uigura, o ancora ai ribelli musulmani del sud del Paese. Sospetti sono caduti sul movimento delle Camicie rosse, movimento popolare di pressione che si oppone alla giunta, dopo che l’esercito destituì il governo civile in un golpe a fine maggio 2014, nominando premier il capo di Stato maggiore Prayut Chan-ocha. Il golpe aveva spinto in manifestazioni di massa il Fronte unito per la democrazia contro la dittatura (noto come Camicie rosse per l’indumento simbolo). Molti sostenitori del gruppo furono arrestati e gli assembramenti di più di cinque persone furono vietati, impedendo di fatto nuove proteste. Quelle che le Camicie rosse tentarono di organizzare furono spente in pochi giorni.



Fari puntati sugli uiguri. Secondo il viceministro della Difesa, generale Udomdej Sirabut, l’attacco è stato invece “una vendetta per una recente operazione delle autorità”, allusione al rimpatrio coatto di un centinaio di musulmani uiguri in Cina. Molti membri della minoranza sono infatti fuggiti dalla Cina, a causa della repressione del governo di Pechino nei loro confronti. Diversi cittadini cinesi sono tra le vittime delle esplosioni, quattro tra i morti e oltre venti tra i feriti. L’accademico ed ex parlamentare Kriengsak Chareonwongsak ritiene che l’attentato porti il marchio della “situazione interna del Paese”.

“E’ possibile che siano stati gli uiguri – ha detto – ma in questo caso dovrebbero rivendicare, mentre sinora ciò non è avvenuto”. L’economista, professore all’Università di Harvard, sminuisce anche la versioni secondo cui i responsabili potrebbero essere guerriglieri musulmani del sud del Paese, che sinora non hanno mai portato le proprie azioni armate fuori dalla regione meridionale. “Non penso – ha sottolineato – siano stati loro. Credo piuttosto si tratti di una questione interna”. Ha aggiunto: “Quello che è sicuro è che l’obiettivo era destabilizzare il governo e generare un grande impatto, sia nazionale sia internazionale”. Ha anche sottolineato “l’intenzione politica” dell’attacco, sebbene non abbia fatto ipotesi sui presunti autori.

Gli attentati si sono verificati in un momento di incertezza sul futuro politico del Paese, che trascina una crisi da anni, culminata nel golpe militare del maggio 2014. E coincidono con il momento in cui si sono diffuse le voci secondo cui il fratello del primo ministro Prayut Chan-ocha, il generale Preecha Chan-ocha, sarà nominato nuovo comandante dell’esercito. Il governo militare ha promesso di convocare elezioni generali per il prossimo anno, per restituire il potere a un esecutivo civile. Ma un calendario per la transizione resta tuttora sospeso.

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