Buenos Aires (Argentina), 14 mar. (LaPresse/AP) – Umiltà, riservatezza, vicinanza ai più poveri, austerità, abnegazione. Sono i tratti del nuovo papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio. Ma sul nuovo pontefice aleggia anche un passato oscuro, come su gran parte delle gerarchie ecclesiastiche in carica durante il periodo più buio dell’Argentina, la dittatura militare 1976-1983. Anni di dolore e strazio, soprattutto per quelle madri e quelle famiglie che videro scomparire di notte, nelle università, talvolta senza nemmeno poterlo immaginare, figli e parenti. Chi aveva un’attività politica più intensa, chi solo simpatie. Chi addirittura svolgeva il proprio impegno pastorale vicino ai più poveri della terra, abbracciando l’onda di quella Teologia della liberazione che, alla fine degli anni Sessanta, si era affermata in buona parte del Sud America. Trentamila desaparecidos, di cui, in molti casi, non si è saputa la fine.
C’è chi punta il dito anche contro Bergoglio, responsabile come molti altri di non aver affrontato con la necessaria forza le violenze di un regime che, fin dai primi mesi di guida militare, mise in luce tutte le sue brutture. Tuttavia, Sergio Rubin, biografo ufficiale del cardinale, da ieri Papa e vescovo di Roma, sottolinea come in realtà il silenzio in merito ai drammi della dittatura sia stata una mancanza della Chiesa cattolica in generale, e sia perciò ingiusto etichettare Bergoglio di una colpa collettiva che tante generazioni argentine ancora dovranno portarsi sulle spalle. “In qualche modo – aveva detto Rubin, poco prima dell’apertura del conclave – molti di noi argentini hanno finito per essere complici”.
Le ombre maggiori sul passato del nuovo pontefice sono quelle sollevate dal giornalista Horacio Verbitsky che, nei libri ‘L’isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina’ e ‘Doppio gioco. L’Argentina cattolica e militare’ (editi in Italia da Fandango), si concentra proprio sui rapporti tra il regime e gli ambiente ecclesiastici. Drammatico il caso di un gruppo di gesuiti che lavoravano nelle ‘villa miseria’, a cui, secondo il giornalista, fu lo stesso Bergoglio a chiedere di abbandonare il proprio impegno con i più poveri. Una richiesta che il cardinale sostiene di aver fatto a difesa della loro incolumità. Dopo il rifiuto, i gesuiti furono rapiti e torturati nella famigerata Esma (la Scuola di Meccanica della Marina, trasformata in carcere clandestino), da cui furono liberati cinque mesi dopo. Verbistky denuncia inoltre che Bergoglio, durante la dittatura militare, svolse attività politica nella Guardia di ferro, un’organizzazione della destra peronista.
Alcuni attivisti umani accusano il nuovo pontefice di essere preoccupato più di preservare l’immagine della Chiesa che non di fornire prove sui processi, che da qualche anno sono ripresi in Argentina per gli abusi di diritti umani durante il regime. “C’è ipocrisia quando si parla della condotta della Chiesa e di Bergoglio in particolare”, commenta Estela de la Cuadra, la cui madre è stata co-fondatrice dell’organizzazione Madres de Plaza de Mayo, durante la dittatura. “Ora – aggiunge – ci sono processi di tutti i tipi e Bergoglio sistematicamente si è rifiutato di sostenerli”.
Per due volte in passato il cardinale ha invocato il suo diritto, previsto dalla legge argentina, di rifiutarsi di apparire in tribunale durante processi per casi di tortura e omicidio nella Esma, e per il sequestro di bambini nati dalle detenute e affidati a famiglie di militari o di persone vicine al regime. Quando nel 2010 decise di testimoniare, spiega l’avvocato per i diritti umani Myriam Bregman, le sue risposte sono state evasive. Le dichiarazioni di Bergoglio tuttavia mettevano in luce come i funzionari ecclesiastici del Paese sudamericano erano a conoscenza fin dall’inizio che la giunta militare torturava e uccideva i suoi cittadini, anche se ampie parti della Chiesa hanno sempre pubblicamente dato il proprio sostegno al regime. “La dittatura – commenta la Bregman – non avrebbe potuto operare in questo modo senza il supporto chiave delle autorità ecclesiastiche”.
Rubin però ribatte e ricorda come Bergoglio abbia affrontato grandi rischi per cercare di salvare gli oppositori politici durante la dittatura, anche se non ne ha voluto parlare in modo ampio nella sua biografia, ‘Il Gesuita’, pubblicata nel 2010. Nel libro, il cardinale spiega in un’occasione di avere passato il suo documento argentino a un uomo ricercato, con una fisionomia simile alla sua, permettendogli così di fuggire oltre il confine brasiliano. E poi come in molte occasioni ha dato rifugio a diverse persone nelle proprietà della Chiesa, prima che queste potessero mettersi in salvo fuggendo dal Paese.
In merito alla vicenda dei giovani gesuiti rapiti di cui parla Verbitsky (Orlando Yorio e Francisco Jalics), Bergoglio spiega di aver loro chiesto di rinunciare al lavoro nelle favelas per una questione di sicurezza, ma loro rifiutarono. In un’intervista di alcuni anni fa, Yorio, deceduto nel 2000, ha però accusato il cardinale di averli di fatto consegnati agli squadroni della morte, rifiutandosi di appoggiare pubblicamente il loro impegno. Jalics, dopo essere entrato in un monastero in Germania, ha sempre cercato di non affrontare questi eventi.
Entrambi i sacerdoti, torturati, vennero poi rilasciati con gli occhi bendati in un campo. Furono tra i pochi a riuscire a sopravvivere al carcere clandestino. Rubin sostiene che sia stato proprio Bergoglio, dietro le quinte, a fare di tutto per salvarli. Ad esempio persuase il prete di famiglia del dittatore Jorge Videla a dirsi malato, in modo che potesse essere lui stesso a dire messa al suo posto e, una volta nella casa di Videla, fare un appello privato per ottenere la grazia per i due. Una manovra effettuata in segreto, nel momento in cui altri, spiega il biografo, i leader della Chiesa appoggiavano pubblicamente la giunta e chiedevano ai fedeli di tornare a esprimere ‘amore per il Paese’, nonostante il terrore diffuso nella società. “La chiesa argentina – ha detto Rubin ad Associated Press – è una delle più conservatrici dell’America latina. Ha mostrato una buona disposizione nei confronti dei vertici militari che, come se non bastasse, si consideravano cristiani e si definivano bravi cattolici”.
All’interno delle gerarchie ecclesiastiche al tempo, dove si contavano circa cinquanta vescovi, molti erano conservatori. Altri al contrario avevano un’impronta fortemente progressista, e furono uccisi. Bergoglio, spiega ancora Rubin, stava nel mezzo. E per alcuni è proprio questa la sua colpa maggiore: non essersi schierato con forza e apertamente contro le atrocità. “Alcuni erano dentro fino al collo”, spiega il giornalista, citando ad esempio Christian Federico von Wernich, cappellano della polizia, ora condannato all’ergastolo per i reati di tortura e sequestro di persona. “Ci sono poi quelli che hanno rischiato tutto per sfidare apertamente la giunta”, come Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja, ucciso in un sospetto incidente stradale nel 1976, mentre aveva con sé delle prove su altri due sacerdoti assassinati dal regime.
Nonostante la sua posizione mediana, le ombra non hanno abbandonato Bergoglio, come tutte le gerarchie ecclesiastiche del Paese. Gli attivisti vicini al governo di Cristina Fernandez, spiega Rubin, hanno ‘provato a coinvolgerlo in alcuni processi per i diritti umani’. D’altra parte gli attivisti sostengono con forza che la Chiesa argentina abbia atteso troppo a chiedere scusa per le sue mancanze dell’epoca. Bergoglio è stato nominato cardinale nel 2001, ma ha aspettato fino al 2006, dopo che l’allora presidente Nestor Kirchner dichiarò un giorno di lutto ufficiale per Angelelli nel 30esimo anniversario della morte, per definire il vescovo ucciso ‘un martire’ della dittatura. Si trattò del primo riconoscimento ufficiale del fatto che Angelelli venne effettivamente ucciso e il suo incidente non fosse stato un caso.
Inoltre, sotto la guida di quello che oggi è papa Francesco, nell’ottobre 2012, per la prima volta, i vescovi argentini hanno chiesto scusa pubblicamente per l’incapacità della Chiesa di proteggere il suo gregge durante il regime. Tuttavia, la dichiarazione punta il dito principalmente sul contesto di violenza, dando colpe in egual modo alla giunta e ai suoi nemici. ‘Bergoglio – riferisce ancora Rubin – è stato molto critico sulle violazioni dei diritti umani da parte della dittatura, ma ha anche sempre criticato la guerriglia di sinistra’.
Tra gli attivisti, molti non lo riescono a perdonare. La famiglia De la Cuadra, che nella ‘guerra sucia’ ha perso cinque componenti, tra cui Elena, sorella di Estela, incinta di cinque mesi quando fu rapita e poi uccisa nel 1977, sostiene che Bergoglio le abbia voltato le spalle. La famiglia all’epoca fece appello al leader dei Gesuiti a Roma, che chiesa a Bergoglio di intervenire in aiuto. Questi incaricò un monsignore di parlare con la polizia, che rispose con una secca dichiarazione: la donna era una comunista e quindi condannata, ma ha dato alla luce a una bambina durante la detenzione. Quella bambina, a sua volta, è stata data a una famiglia, dissero, ‘troppo importante’ affinché l’adozione potesse essere ritirata.
Nonostante le prove che lo coinvolgerebbero, nel 2010 Bergoglio testimoniò che non era assolutamente a conoscenza di casi di bambini rubati, e che venne a sapere della pratica solo dopo la caduta del regime. ‘Bergoglio – conclude Estela de la Cuadra – ha avuto un atteggiamento molto vile quando si è trattato di parlare del caso dei bambini rubati. La domanda è come salvare il suo nome, come salvare se stesso. Ma non potrà tenere la gente all’oscuro di queste accuse. La gente sa chi è’.
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