Bangkok (Thailandia), 23 lug. (LaPresse/AP) – Si è aperta oggi a Bangkok la prima udienza del processo sulla morte di Fabio Polenghi, fotoreporter italiano di 48 anni ucciso il 19 maggio del 2010 nel centro della capitale thailandese, mentre cercava di testimoniare l’assalto dei soldati governativi contro i manifestanti delle cosiddette ‘Camicie Rosse’. Per la Corte penale della capitale ad uccidere il fotoreporter è stato un colpo di pistola sparato dall’esercito. La sorella del giornalista freelance, Elisabetta, è a Bangkok per seguire la vicenda e ha trascorso gli ultimi due anni chiedendo giustizia. “Posso dire con certezza – ha spiegato la donna – che le autorità thailandesi hanno fatto di tutto per rallentare le indagini ed è stato difficile e lungo arrivare dove siamo oggi. Questo, però, è solo l’inizio”.
Per arrivare alle sue conclusioni, il team che ha seguito l’inchiesta ha raccolto le testimonianze di 36 persone, grazie alle quali la Corte è arrivata ad affermare che fu un’arma ad alta velocità in dotazione all’esercito ad uccidere Polenghi. Il proiettile non è mai stato trovato. Il fotoreporter, il giorno della morte, si trovava in una zona occupata dai dimostranti, costretti poi a ritirarsi dopo l’intervento dei militari. Nei due mesi di violenze politiche che infiammarono la capitale thailandese, persero la vita almeno 91 persone e altre 2mila rimasero ferite. Tra le vittime, oltre a Polenghi, la cui macchina fotografica non è mai stata recuperata, anche il cameraman di Reuters Hiroyuki Muramoto.
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