Varsavia (Polonia), 2 giu. (LaPresse/AP) – Due grandi manifestazioni a favore dei diritti degli omosessuali si sono tenute oggi a Varsavia e Riga. All’appuntamento annuale del gay pride della capitale polacca, hanno marciato circa 2.500 persone. Sound system montati su camioncini hanno accompagnato la manifestazione verso strada Marszalkowska, una delle principali vie della città, mentre i manifestanti sventolavano bandiere arcobaleno e mostravano cartelli in cui si chiedevano parità di diritti e unioni civili. All’evento di Riga, capitale della Lettonia, hanno invece partecipato circa 400 attivisti provenienti da diversi Paesi baltici. La marcia si è tenuta nel quartiere commerciale, nel centro della città. In entrambe le occasioni sono stati schierati folti gruppi di agenti, per difendere i dimostranti da possibili attacchi omofobi, registrati frequentemente in passato. Quest’anno però la situazione sembra tranquilla.
L’evento di Varsavia è uno dei maggiori gay pride che si tengono a giugno in Europa e altrove. Per molti anni la società polacca ha vissuto l’omosessualità come un tabù, a causa in gran parte della forte influenza della Chiesa cattolica. Ola Osinska, 28 anni, che oggi ha sfilato per mano alla sua compagna, spiega di essere stata attaccata tre volte nella capitale polacca perché lesbica. “Nelle piccole città polacche – aggiunge – è ancora peggio. Anche se sono stata picchiata tre volte, oggi sono qui per dire che non mi voglio nascondere”.
Alla manifestazione di oggi a Varsavia hanno dato il proprio sostegno alcuni partiti di sinistra. Uno di questi, il Movimento Palikot, ha fatto dei diritti dei gay un tema di dibattito pubblico portando il primo transessuale in Parlamento lo scorso anno, Anna Grodzka. Nella capitale polacca hanno sfilato anche una ventina di persone provenienti dalla Bielorussia, per preparare un marcia simile a Minsk, per il mese di ottobre. Il gruppo ha marciato mostrando un cartello con la scritta: “E’ meglio essere gay che essere un dittatore”, in risposta a un commento fatto nei mesi scorsi dal presidente autocratico Alexander Lukashenko, il quale, in riferimento al ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, disse: “Meglio essere un dittatore che essere gay”.
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