Torino, 6 ott. (LaPresse) – Chi sarà il nuovo Steve Jobs? Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, o quelli di Google, Larry Page e Sergey Brin? O chi altro? Jobs non era solo un uomo d’affari. E’ stato il profeta di un’era, il capo di una rivoluzione della creatività che ha portato gli effetti della ventata di rinnovamento degli anni Settanta fin dentro gli uffici, nel cuore della produzione economica, sfidando la Ibm e il suo mondo delle valigette 24 ore e dei burocrati in giacca e cravatta con l’estetica della buona tipografia, la semplicità d’uso dell’interfaccia grafica, i colori di un logo che era arcobaleno, la potenza evocativa di uno spot pubblicitario targato Ridley Scott.
Non aveva ancora 25 anni quando è diventato milionario e ne aveva appena 30 quando è stato estromesso dalla sua stessa società e si è trovato a ricominciare da capo, tornando poi in meno di 12 anni, dopo aver rivoluzionato anche il mondo della grafica cinematografica con la Pixar, in sella alla tigre.
Quella della giovane età è una caratteristica ricorrente tra i rampolli della Silicon Valley. Zuckerberg oggi ha 27 anni e, oltre a essere già miliardario, è già anche stato a cena col presidente degli Stati Uniti insieme alle principali menti dell’innovazione a stelle e strisce per discutere del rilancio dell’economia. Sorte analoga è toccata a Larry Page e Sergey Brin che ad appena 37 anni sono a capo di una società che dopo aver scalato le vette del successo si trova al dominio incontrastato del proprio mercato e si concentra già sulla fase della gestione, del mantenimento. E poi ci sono i creatori di Twitter, Jack Dorsey, Christopher Isaac “Biz” Stone, Noah Glass e Evan Williams, rispettivamente 35, 37, 36 e 39 anni.
Tutte menti brillanti, innovative, baciate anche da un po’ di fortuna che le ha collocate nel posto giusto al momento giusto, come già fu per Jobs, che crebbe nella Silicon Valley ai suoi albori, quando là la tecnologia si respirava nell’aria. Jobs seppe creare una narrazione intorno a sè e ai suoi prodotti, e aveva un grande antagonista, Bill Gates, storico avversario di sempre. Oggi non sembra più esserci quel racconto, quella lotta, quella rivalità tra modi diversi di pensare. La tensione sembra concentrata solo sulla ricerca del prossimo prodotto che renderà ricco il suo inventore. E’ il mondo a essere cambiato, c’è più uniformità, il linguaggio del mercato domina anche tra i giovani. Menti luminose pronte a prendere il testimone di Jobs pare ce ne siano. Ma la questione potrebbe anche essere un’altra: forse non c’è più abbastanza poesia nel mondo per permettere ad altri Jobs di esistere.
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