I dazi possono avere un effetto negativo per i prossimi tre anni sull’economia italiana. Parola di Bankitalia che, nelle proiezioni macroeconomiche, prevede comunque una crescita del Pil dello 0,6% nel 2025. Pil in salita anche per il 2026 dello 0,8% e dello 0,7% nel 2027. A sostenere la crescita – spiega la Banca d’Italia – la ripresa dei consumi mentre l’aumento dei dazi e dell’incertezza penalizzerebbe gli investimenti e le vendite all’estero.
Lo scenario previsivo presuppone un forte aumento del livello medio dei dazi sulle importazioni statunitensi di beni rispetto a quello precedente il mese di aprile che, in un contesto di elevata incertezza, determinerebbe un marcato rallentamento del commercio internazionale, sottolinea Bankitalia. Sulla base dei contratti futures, i prezzi del petrolio e del gas naturale diminuirebbero nel corso del triennio, mentre i costi di finanziamento per imprese e famiglie si ridurrebbero gradualmente per poi stabilizzarsi nel 2027.
Bankitalia stima nello specifico che il prodotto aumenti in misura marginale nel trimestre in corso e in quello estivo, frenato dagli effetti diretti e indiretti dei dazi, e in misura lievemente più sostenuta in seguito, beneficiando soprattutto dell’andamento favorevole dei consumi. Questi continuerebbero a espandersi, sostenuti dal buon andamento del potere d’acquisto delle famiglie e dalla riduzione dei tassi di interesse. Gli investimenti sarebbero frenati dall’elevata incertezza e dal ridimensionamento degli incentivi all’edilizia residenziale, ma beneficerebbero dei progetti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e della graduale riduzione dei costi di finanziamento.
Effetto dazi fino a 0,5% del Pil
L’incertezza sul quadro previsivo – osserva Bankitalia – è elevata e deriva principalmente dall’esito dei negoziati tra Stati Uniti e Unione europea e dalla conseguente evoluzione delle politiche commerciali. Un loro ulteriore inasprimento potrebbe penalizzare in misura marcata l’attività economica e in particolare le vendite all’estero e gli investimenti, specie se si accompagnasse al permanere di condizioni di elevata incertezza. Qualora il livello dei dazi aumentasse ai valori annunciati il 2 aprile e l’incertezza si mantenesse elevata, la crescita del prodotto potrebbe ridursi rispetto a quella dello scenario di base di circa due decimi di punto percentuale nell’anno in corso e fino a circa mezzo punto percentuale all’anno nel prossimo biennio. L’impatto complessivo sul prodotto nell’arco del triennio sarebbe analogo a quello stimato dalla Bce per l’area dell’euro. Per contro, una crescita maggiore potrebbe derivare da effetti più pronunciati dell’aumento delle spese per la difesa e le infrastrutture a livello europeo o da un esito delle trattative sulle politiche commerciali più favorevole di quello implicito nello scenario di base.
Inflazione resta contenuta
L’inflazione in Italia rimarrà contenuta, collocandosi all’1,5% nella media dell’anno in corso e del prossimo e al 2% nel 2027. Al netto della componente energetica e alimentare, sarebbe pari all’1,8% nella media di quest’anno e scenderebbe all’1,6 nel prossimo biennio, riflettendo principalmente le minori pressioni derivanti dal costo del lavoro. Eventuali aumenti ritorsivi dei dazi da parte dell’Unione europea potrebbero esercitare temporanee spinte al rialzo, i cui effetti sarebbero più che compensati nel medio termine da quelli di segno opposto dovuti a un marcato e persistente deterioramento della domanda aggregata. L’inflazione di fondo sarebbe invece pari all’1,8% nella media del 2025 e scenderebbe all’1,6 nel biennio 2026-27. Rispetto alle previsioni di aprile, l’inflazione al consumo è rivista marginalmente al ribasso quest’anno, principalmente per le ipotesi di prezzi delle materie prime energetiche più contenuti. Nel 2027 l’estensione del campo di applicazione del sistema per lo scambio di quote di emissione nell’Unione europea alla vendita di carburanti e di combustibili per il riscaldamento degli edifici determinerebbe un rialzo dei prezzi dei beni energetici che spingerebbe temporaneamente l’inflazione al consumo al 2% in media d’anno.