Lunga intervista al romanziere su Vanity Fair

Andrea Camilleri si confessa a Vanity Fair. Nella lunga intervista il grande scrittore racconta, ad esempio, del giorno in cui, a Firenze, un raggelante discorso del nazista Baldur von Schirach mise fine al suo innamoramento adolescenziale per il fascismo, e del successivo impegno politico, ma sempre e solo "da cittadino", mai in prima persona: "Mi sono sempre rifiutato. La prima volta, quando il Pci mi offrì una candidatura blindata, la seconda quando dei vescovi siciliani, non so perché proprio i vescovi, si misero in mente di chiedere all'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi di farmi senatore a vita. Li ho pregati quasi in ginocchio per evitare una cosa simile. La politica è una cosa seria, bisogna dedicarcisi davvero e io sapevo che avrebbe portato via troppo tempo alla scrittura".

"Anche se tutto il mondo cospira per farmi diventare pessimista, io resisto", dice Camilleri a Vanity Fair. "L'uomo è quello che dice 'schiattate nel mare, migranti, non me ne fotte nulla di voi', ma è anche novanta volontari subacquei che vanno a salvare quei ragazzi in Thailandia. L'uomo è così, meravigliosamente contraddittorio. Io ho fiducia nella parte buona".

Il romanziere spiega nell'intervista che l'idea di scrivere in siciliano gli venne nel 1967: "Mio padre stava morendo e io ho trascorso un mese intero in clinica, accanto a lui. Un giorno mi chiese di raccontargli una storia, io da tempo avevo in mente quello che poi sarebbe diventato il mio primo romanzo, Il corso delle cose, e glielo raccontai. In siciliano, come si parlava tra di noi. Alla fine, mio padre mi disse: 'Promettimi che lo scriverai e che lo scriverai così come lo hai raccontato a me'". E ricorda la lettera ricevuta qualche tempo fa in una busta con una foto. "Era un uomo sui cinquant'anni, con accanto una signora e due ragazzine. E scriveva: 'Questa è la mia famiglia. Solo ora mi sento di raccontarle quello che mi è successo nel 2001. Mi era caduto il mondo addosso perché avevo scoperto che la persona che amavo mi tradiva. Ero, e sono tuttora, infermiere all'ospedale di Bari. Rubai del veleno e mi portai a casa ampolla e treppiedi per le flebo. Mi misi a letto e infilai l'ago nel braccio. Siccome la cosa sarebbe stata lunga, presi dal comodino un libro che avevo comprato ma non ancora aperto: Il re di Girgenti. Dopo un po' mi sono trovato a sorridere, ho staccato l'ago e ho continuato a leggere fino alle cinque di mattina. Tre anni dopo ho incontrato un'altra donna e mi sono sposato. Le devo la vita'. Ecco, quando penso a quella lettera, mi consolo di tante cose perché penso che, in fondo, tutto quello che ho fatto non è stato inutile".

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