Esistono degli istituti a custodia attenuata (Icam) che ricreano l'atmosfera di 'casa' per evitare traumi. Altri penitenziari, come Rebibbia dove una donna ha lanciato i figli dalle scale, hanno un asilo nido all'interno delle sezioni femminili

Sono una cinquantina le madri detenute in Italia con figli al seguito minori di 3 anni. Tredici, secondo i dati forniti dal Dap a fine agosto, quelle detenute nel carcere romano di Rebibbia dove si è consumato l’infanticidio ad opera di una giovane che ha scaraventato i due figli a terra uccidendone una e ferendone in modo gravissimo l’altro. “Uno dei problemi più sentiti della detenzione femminile è quello delle detenute madri con figli al seguito”, sottolinea l’associazione Antigone.

Per tentare di attenuare le conseguenze negative della permanenza in carcere dei bambini, la legge n. 62 del 21 aprile 2011 ha previsto la creazione di istituti a custodia attenuata (Icam) dove collocare le detenute madri con i propri figli. Queste strutture sono concepite, almeno sulla carta, per creare una atmosfera di casa ‘normale’, più simile a un asilo che a un carcere, in modo da evitare ai minori i traumi della detenzione. In Italia, oltre all’Icam di Milano, che ha svolto il ruolo di apripista nel 2007, sono già attivi quello di Venezia, Senorbì (in provincia di Cagliari) e Torino. In altri istituti, come Rebibbia, sono previsti solamente asili nido all’interno delle sezioni femminili.

Sono circa 2500 le donne detenute in Italia, ovvero il 4,3% della popolazione detenuta. Gli istituti esclusivamente dedicati alle donne sono appena cinque (Empoli, Pozzuoli, Roma “Rebibbia”, Trani, Venezia “Giudecca”), mentre nel resto d’Italia la loro detenzione è affidata a reparti ad hoc (52 in tutto) ricavati all’interno di carceri maschili. Negli istituti dedicati, le donne hanno sicuramente maggiori possibilità di poter condurre una vita detentiva calibrata sui loro specifici bisogni.

L’Associazione Antigone, nell’ultimo rapporto ha evidenziato alcune criticità anche in queste strutture, come a Venezia (dove è stata riscontrata una grave carenza di personale, soprattutto dell’area educativa) Pozzuoli (sovraffollamento e condizioni precarie della struttura esterna), e lo stesso istituto di Rebibbia femminile (mancanza di mediatori culturali per straniere, soprattutto per quelle con problemi psichiatrici). Se anche negli istituti specificamente pensati per le donne sono state riscontrate delle difficoltà, non è difficile immaginare come la situazione sia ancora più critica nelle sezioni ricavate all’interno di complessi concepiti per la detenzione maschile. Lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in una scheda sulla detenzione femminile realizzata nel gennaio 2015, ha osservato che, in questi casi, “le donne vivono prevalentemente una realtà che è pensata e realizzata nelle strutture e nelle regole per gli uomini mentre i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi”. 

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