Si terrà il processo d’appello nei confronti di Filippo Turetta, il giovane di Torreglia (Padova) condannato all’ergastolo in primo grado per il femminicidio della ex fidanzata Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023 a Fossò. Secondo quanto riportano il Corriere del Veneto e il Gazzettino, nonostante Turetta abbia rinunciato all’appello, inviando una lettera alla Corte d’Assise in cui dichiarava di accettare la pena senza richiedere attenuanti, la Procura generale di Venezia non ha fatto lo stesso e ha deciso di procedere comunque. L’obiettivo è ottenere il riconoscimento delle aggravanti della crudeltà e dello stalking, escluse in primo grado dalla Corte d’Assise di Venezia.
Perché non sono state riconosciute le aggravanti in primo grado
La sentenza della Corte d’Assise di Venezia in primo grado non aveva riconosciuto l’aggravante della crudeltà perché i giudici avevano ritenuto che le 75 coltellate siano state il risultato dell’inesperienza e dell’inabilità del 23enne, e non legate all’intenzione dell’autore di accanirsi contro la vittima oltre la finalità omicida. L’aggravante, in senso giuridico, prevede che l’autore del reato abbia inflitto sofferenze ulteriori e non necessarie rispetto alla volontà di uccidere la vittima. Inoltre, è stata esclusa l’aggravante dello stalking perché le condotte contestate sono state considerate “circoscritte” al periodo successivo alla fine della relazione, e non sarebbe emersa una vera e propria modifica delle abitudini di vita imposta dalla paura né uno stato di ansia grave e costante nella vittima.
L’appello della Procura
Contro la decisione di primo grado aveva fatto appello la Procura di Venezia, una decisione accolta favorevolmente da Stefano Tigani, legale di Gino Cecchettin, padre di Giulia. “Come collegio difensivo della famiglia Cecchettin avevamo chiesto espressamente l’impugnazione della sentenza da parte della Procura di Venezia. Non sappiamo se abbiano deciso in questo senso sulla base della nostra richiesta, ma la decisione della Procura ci rincuora e mostra che noi non eravamo dei visionari: quelle aggravanti c’erano”, aveva detto Tigani a LaPresse. “Non è mai stata nostra intenzione entrare in polemica con la decisione della Corte – evidenzia Tigani – ma per noi, coerentemente con quanto sostenuto durante il processo, quelle aggravanti c’erano“.

