Gli esperti del Ris di Cagliari tornano a Conca Entosa, nel casolare vicino a Palau, in Sardegna, dove è stato trovato il corpo di Cinzia Pinna, la 33enne uccisa da Emanuele Ragnedda. La vittima, scomparsa l’11 settembre, è stata trovata morta il 24, dopo 12 giorni. Secondo i carabinieri, gli elementi raccolti sulla scena del crimine non coincidono con il racconto del 41enne reo confesso del delitto. Sul posto c’è il Reparto Investigazioni Scientifiche, affiancato dal medico legale Salvatore Lorenzoni, incaricato dalla procura e già autore dell’autopsia, e dall’entomologa Valentina Bugelli.
Gli accertamenti puntano a chiarire la posizione esatta in cui si trovava la 33enne al momento dell’uccisione e a verificare la compatibilità delle ferite con la dinamica descritta da Ragnedda. Dall’esame autoptico risulta che Cinzia Pinna è stata raggiunta da tre colpi d’arma da fuoco ma non tutti i dettagli coincidono con la versione del 41enne, che ha sostenuto di essere stato aggredito con un coltello e di aver reagito per paura senza però invocare esplicitamente la legittima difesa.
Il corpo di Cinzia Pinna irriconoscibile
Il corpo della donna è stato trovato dagli investigatori vicino a un albero della proprietà di famiglia di Ragnedda, tra Palau e Arzachena. Indossava soltanto una maglietta ed era stato lasciato all’aperto, esposto alle intemperie e agli animali selvatici. Le condizioni in cui è stato trovato hanno reso impossibile un riconoscimento diretto da parte dei familiari.
La madre di Ragnedda: “Mio figlio si merita l’inferno”
“Mio figlio non si può perdonare. Se ha fatto quello che ha fatto si merita l’inferno. Ha trasformato il paradiso di Conca Entosa in un inferno, allora lui si merita l’inferno”, aveva detto Nicolina Giagheddu, madre di Ragnedda. “Cinzia, perdonami per non averti salvata”.