Chiede che vengano riconosciute le aggravanti di stalking e crudeltà. Gino Cecchettin: "Decisione mostra che non eravamo visionari"
La Procura di Venezia fa appello alla sentenza di condanna all’ergastolo per Filippo Turetta – assassino di Giulia Cecchettin – che aveva riconosciuto l’aggravante della premeditazione facendo cadere stalking e crudeltà, affinché queste ultime due vengano riconosciute. Lo apprende LaPresse da fonti qualificate.
Gino Cecchettin: “Decisione mostra che non eravamo visionari”
“Come collegio difensivo della famiglia Cecchettin avevamo chiesto espressamente l’impugnazione della sentenza da parte della Procura di Venezia. Non sappiamo se abbiano deciso in questo senso sulla base della nostra richiesta, ma la decisione della Procura ci rincuora e mostra che noi non eravamo dei visionari: quelle aggravanti c’erano”. Lo dice a LaPresse l’avvocato Stefano Tigani, legale di Gino Cecchetin, papà di Giulia. “Non è mai stata nostra intenzione entrare in polemica con la decisione della Corte – evidenzia Tigani – ma per noi, coerentemente con quanto sostenuto durante il processo, quelle aggravanti c’erano“.
La sorella di Giulia Cecchettin: “Sentenza segna un precedente terribile”
La Corte d’Assise di Venezia aveva condannato, lo scorso 3 dicembre, Turetta all’ergastolo per il femminicidio della ex fidanzata, reato che il giovane di Torreglia (in provincia di Padova) aveva confessato. I giudici non avevano riconosciuto le aggravanti della crudeltà e dello stalking. “Una sentenza simile, con motivazioni simili in un momento storico come quello in cui stiamo vivendo, non solo è pericolosa, ma segna un terribile precedente”, aveva scritto la sorella della vittima, Elena Cecchettin, in una storia Instagram.
La sentenza
Filippo Turetta ha ucciso Giulia Cecchettin, con 75 coltellate, l’11 novembre 2023 a Fossò, in provincia di Venezia. Il 23enne dopo aver commesso il delitto si era dato alla fuga per poi essere arrestato vicino a Lipsia, in Austria. E’ stato condannato a fine pena mai il 3 dicembre scorso. “Aver inferto settantacinque coltellate non si ritiene che sia stato un modo per infierire crudelmente o per fare scempio della vittima, ma il modo in cui Turetta ha compiuto il femminicidio con una dinamica certamente efferata” si ritiene “sia stato conseguenza della inesperienza e della inabilità” del 23enne. Si legge nelle motivazioni della sentenza visionata da LaPresse.
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