Valentino, presunto caporalato in società del gruppo

Valentino, presunto caporalato in società del gruppo
Carabinieri in un opificio della Valentino Bags Srl, commissariata a Milano per caporalato nella sua filiera di appalti

Commissariata la ‘Valentino Bags srl’: secondo i giudici nella sua filiera di appalti è emerso un “eclatante sfruttamento” in sette opifici cinesi irregolari

Ancora un’indagine per caporalato nell’alta moda. Il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria di una società del gruppo Valentino in un’inchiesta della Procura meneghina che ha svelato l’incapacità del marchio di “prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo” lungo la propria filiera produttiva. Si tratta della Valentino Bags Lab srl, il ramo produzione di borse, pelletteria e accessori dell’omonimo marchio. La società non è indagata, ma i giudici della sezione Misure di Prevenzione hanno accolto la richiesta del pubblico ministero Paolo Storari – che nel 2024 aveva ottenuto l’amministrazione giudiziaria anche per società facenti parte dei gruppi Armani e Dior – di nominare un amministratore giudiziario.

Lavori “in condizione di sfruttamento”

I carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano hanno accertato l’esistenza, negli appalti dei Valentino Bags srl, di 7 opifici cinesi clandestini e irregolari, i cui titolari sono stati tutti denunciati per caporalato. Sono stati identificati 76 lavoratori di cui 9 tutti occupati in nero e 3 senza documenti. Negli stabilimenti di produzione è stato riscontrato che le lavorazioni avvenivano in “condizione di sfruttamento” con pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri e in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro ospitando gli operai all’interno di dormitori abusivi. Sono state elevate multe per 286mila euro e sanzioni amministrative per 35mila euro.

I giudici: “Eclatante sfruttamento” negli appalti di Valentino Bags

Nella richiesta di mettere in amministrazione giudiziaria la società, il pubblico ministero di Milano, Paolo Storari, ha scritto che Valentino Bags Lab srl ha tratto “beneficio” economico dall’attività di imprenditori cinesi che “sfruttano pesantemente il lavoro dei loro connazionali”, omettendo “qualsiasi controllo” sulla propria “catena produttiva” e di fatto “agevolando” soggetti indagati per caporalato. L’azienda ha sede a Rosate nel milanese, fabbrica “articoli da viaggio ed accessori” del marchio e ha un giro d’affari da 23 milioni di euro all’anno.

Secondo i giudici Rispoli-Spagnuolo Vigorita-Canepari, che hanno accolto la richiesta, fenomeni di caporalato e “plurimi indici di sfruttamento” nella filiera di appalti di Valentino Bags Srl sono emersi in “modo eclatante” nelle indagini con il “chiaro fine di abbattere i costi del lavoro”. Per la sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano dai fornitori del brand “vengono completamente evase le imposte dirette” e “relative al costo dipendenti” come “contributi, assicurazione infortuni”. Le aziende hanno omesso “tutti i costi relativi alla sicurezza, sia dei dipendenti che degli ambienti di lavoro” con assenza di “visite mediche” e “formazione”. La sicurezza degli operai del settore moda è stata messa a rischio “dalla rimozione di dispositivi di sicurezza dalle macchine (spazzolatrici, incollatrici, adesivatrici, macchine spaccapelle)” e “dalla non corretta custodia dei materiali chimici ed infiammabili“.

Caporalato e moda, i precedenti: i casi Dior e Giorgio Armani Operations

Quella su Valentino Bags Srl non è la prima inchiesta della procura di Milano sul caporalato nell’alta moda. Nel giugno 2024 era stata commissariata una società del gruppo Dior, la ‘Manufactures Dior’: le borse prodotte dall’azienda, secondo gli inquirenti, uscivano da un opificio clandestino cinese di Opera, nel milanese, a un prezzo di “53 euro” e venivano rivendute al “dettaglio a 2.600 euro”. Tale differenza eclatante era accumulata, scriveva la procura, grazie a sfruttamento dei lavoratori, dormitori abusivi per gli operai, igiene “sotto minimo etico”, frodi fiscali-contributive lungo la filiera e dispositivi di sicurezza spenti o manomessi. All’azienda, mai indagata, è stata poi revocata l’amministrazione giudiziaria a febbraio 2025 dopo aver assunto 17 controllori di filiera. 

Allo stesso modo, ad aprile 2024 era stata commissariata dopo un’indagine per caporalato la ‘Giorgio Armani Operation Spa’: negli opifici, avevano rilevato le indagini, non si lavorava “4 ore giornaliere” come dichiarato in banca dati Inps ma 14 ore al giorno: dalle 6.45 e le 21, anche nei festivi. Nelle carte dei giudici si leggeva che erano stati segnalati vari illeciti tra cui: evasioni fiscali-contributive; operai costretti a riposare in “dormitorio” e vivere in “un’area abitativa, abusivamente realizzata” nel “capannone”; i macchinari vengono sabotati manomettendo lo strumento di “spegnimento di emergenza” o rimuovendo i “dispositivi di sicurezza” che impediscono di “rimanere impigliato o subire schiacciamento”. Anche in questo caso l’amministrazione giudiziaria è stata revocata a febbraio 2025, con un paio di mesi di anticipo rispetto alla scadenza di 12 mesi su richiesta dei legali dell’azienda e con il parere positivo dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone. Giorgio Armani Operations avrebbe seguito un “virtuoso percorso” e riscoperto la “cultura della legalità estesa a tutta la catena produttiva“, ha fatto sapere il presidente del tribunale di Milano, Fabio Roia, in una nota.

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