Paolo Lanciani a LaPresse: "Ad oggi non esiste uno strumento già pronto, adatto allo specifico ruolo, che vada bene per dire se un giudice è bravo o no"

I test psico-attitudinali per i magistrati possono essere utili per una prima scrematura grossolana? “Personalmente non lo credo”. Lo dice a LaPresse Paolo Lanciani, psicologo del Lavoro specializzato in ambiti legali, in merito all’opportunità di sottoporre i magistrati a test psico-attitudinali. “Io credo che se si lavora sullo sviluppo della potenzialità della singola persona – e non sull’adeguamento a uno standard – ciascuna persona può trovare una sua modalità di interpretare un ruolo”. In questo contesto “non ritengo i test uno strumento sufficiente“, chiarisce l’esperto.

“Però, in un quadro più ampio, valutare alcuni aspetti può essere un elemento in più ma – chiarisce – solo qualora si facesse una ricerca per studiare l’eventuale efficacia di uno strumento del genere: dobbiamo fare un’ipotesi, studiarla e avere una quantità di dati sufficienti a validarla; oppure giungere alla conclusione che le variabili sono così complesse che non è possibile con uno strumento introdurre elementi utili. Perché il rischio paradossale della meritocrazia è che può essere discriminatoria, se i criteri applicati non catturano con sufficiente precisione non solo l’eterogeneità delle persone ma anche la complessità delle variabili in gioco. In questo come in qualsiasi altro ruolo, non solo quello del giudice”. 

“Un test psico-attitudinale confronta il risultato della singola persona con un risultato standard. Quindi dà un’informazione sulla ‘distanza’ da un risultato ideale. Questo, però, non dà nessuna indicazione sulla persona, sulle competenze e le qualità di chi ha fatto il test” aggiunge a LaPresse Paolo Lanciani, psicologo del Lavoro specializzato in ambiti legali, in merito all’opportunità di sottoporre i magistrati a test psico-attitudinali.

“L’ipotesi di partenza è che le persone che hanno una minore distanza dal risultato ideale sono più indicate a svolgere una determinata mansione”, spiega l’esperto. “Bisognerebbe avviare una fase di studio per identificare uno strumento che univocamente misuri giudici che hanno già dato prova di essere efficaci e coerenti con il profilo: a quel punto si può migliorare eventualmente la distanza e avere un ragionevole indizio. Che, comunque, non esclude il fatto che ci possano essere delle eccezioni che confermano la regola. Ad oggi non esiste uno strumento già pronto, adatto allo specifico ruolo, che vada bene per dire se un giudice è bravo o no. Gli strumenti attuali sono troppo approssimativi”.

“Le aziende usano i test per fare una prima scrematura – puntualizza – che sanno essere grossolana”. Nella fattispecie del magistrato entrano in gioco altri elementi oltre alle competenze, come l’imparzialità e la moralità. Possono essere misurati da un test? “Fare un test alle intenzioni è molto complesso anche perché, salvo rare eccezioni, nessuno dirà mai di sé di non essere onesto. Difficilmente dirà di sé si essere razzista o sessista: ma questo non significa che non possa inconsciamente avere dei bias di cui è vittima e metterli in atto. Quindi il fattore umano del giudizio rimarrà sempre determinante e non potrà essere escluso a priori da un test”, aggiunge Lanciani.

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