Fermati il 12 agosto dopo un inseguimento a largo dell'isola delle Pelagie
È un mare di menzogne e pirati il Mediterraneo centrale fra la Tunisia e Lampedusa. Nemmeno venti giorni dopo che il procuratore di Agrigento Salvatore Vella ha parlato di “bandiere nere”, arrestando i primi 4 tunisini accusati di assaltare i barchini dei migranti per derubarli, ecco che la storia si ripete: il gip del Tribunale di Agrigento Stefano Zammuto ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di 6 pirati, fra i 28 e i 52 anni, membri dell’equipaggio del peschereccio ‘Zohra’. Sono accusati della “depredazione di un barchino in ferro” di 6-8 metri partito da Sfax in Tunisia “con a bordo 49 migranti di cui 5 donne e un minore”.
Fermati il 12 agosto dopo un inseguimento al largo dell’isola delle Pelagie, erano fuggiti davanti agli ‘alt’ della Capitaneria effettuati via radio e altoparlante. Le testimonianze delle vittime sono raccapriccianti e raccontano del cambiamento di scenario operativo nel traffico di esseri umani in Tunisia: da agenzie di servizi e scafisti remunerati da chi vuole salpare alla volta dell’Europa, a pirati senza scrupoli, pronti a mettere in pericolo la vita umana per cifre ridicole: 150 dinari – 44,5 euro, il bottino dell’assalto incriminato – e un motore Yamaha da rivendere.”Eravamo disperati e molti piangevano. Per calmarci iniziavano a lanciarci del pane”, è il racconto fornito a investigatori di squadra mobile e Finanza dai naufraghi. I finti pescatori – senza pescato a bordo, documenti o reti bagnate – avrebbero “indicato una barca in lontananza, dicevano si trattasse dei soccorsi”. Una bugia ma, dicono i testimoni, sufficiente ad “allentare la nostra attenzione. Ho visto che uno di loro che riusciva a sganciare il nostro motore, a sollevarlo”.
Due ore dopo il ritorno sulla scena – 35 gradi nord e 12 est le coordinate – e la richiesta di denaro in cambio del rimorchio verso la terra ferma. I soldi “in un cappello” e “lo abbiamo lanciato nel peschereccio”. Per il Gip della città dei templi non è nemmeno un’estorsione che almeno non determinerebbe il “totale annullamento” del libero arbitrio. È una rapina fra le onde. Non si può definire altrimenti il “sottrarre il motore, spezzare la fune e abbandonare i migranti in mezzo al mare, senza alcuna possibilità né di allontanarsi, né di salvarsi”. “Arduo” sarebbe “sostenere che possano essere ritenuti liberi di scegliere una possibile alternativa”.
È la seconda volta che i magistrati impiegano la formula della pirateria internazionale, punita fino a 20 anni e i riferimenti alla Convezione Onu di Montego Bay del 1982, il testo ‘sacro’ della legge del mare. Mentre diritto e (dis)umanità si scontrano nel Canale di Sicilia l’hotspot di Lampedusa di Contrada Imbriacola fa registrare 2mila presenze. Giovedì i primi 900 trasferimenti via nave e 180 in aereo. Sei gli sbarchi sull’isola nella notte per 200 naufraghi. A 6 miglia dall’isolotto di Lampione è stato recuperato un cadavere in avanzato stato dei decomposizione. A livello investigativo le attività degli inquirenti non si fermano: convalidato il fermo e disposta la custodia in carcere per 3 scafisti del motopesca ‘Abouamer’, salpato dalle coste di Kerkennah il 10 agosto e intercettato il 12 con a bordo 31 persone. Hanno cercato di ingannare i finanzieri con una finta chiamata di soccorso al Maritime Rescue Sub Centre di Palermo. A incastrarli un video sugli smartphone, un cellulare tunisino da cui è partito l’sos e le dichiarazioni dei testimoni.
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