Cucchi: depistaggi, pm chiede condanna per 8 carabinieri

Cucchi: depistaggi, pm chiede condanna per 8 carabinieri
Processo Cucchi Requisitoria del PM Giovanni Musarò

Il magistrato: “Un intero Paese è stato preso in giro per sei anni”

 (LaPresse) – La procura di Roma chiede la condanna degli otto carabinieri imputati al processo sui depistaggi nel caso Cucchi. “Un intero Paese è stato preso in giro per sei anni”, sottolinea il pm Giovanni Musarò nella requisitoria, evidenziando le “inaccettabili ingerenze” sulle perizie medico legali, le bugie e le “intimidazioni” su chi, nel corso del procedimento, ha voluto dire la verità.

La pena più severa chiesta per il generale Casarsa

I militari rispondono, a vario titolo, di falso, omessa denuncia, calunnia e favoreggiamento: la richiesta di pena più severa sono i 7 anni di carcere per il generale Alessandro Casarsa, che nel 2009 era alla guida del gruppo Roma. Chiesti 5 anni e mezzo per il colonnello Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti addetto al comando del Gruppo carabinieri Roma, e 5 anni per il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro e il carabiniere Luca De Cianni; 4 anni di carcere per Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo, 3 anni e 3 mesi per Francesco Di Sano, che a Tor Sapienza era in servizio la notte del pestaggio, 3 anni per l’ex capo del Reparto operativo della capitale, Lorenzo Sabatino e 13 mesi di carcere per Massimiliano Colombo Labriola, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, con il riconoscimento, solo per quest’ultimo, delle attenuanti generiche.

“Attività di depistaggio ossessiva”

Rischiano l’interdizione perpetua dai pubblici uffici Casarsa, Cavallo, Soligo e De Cianni e l’interdizione di 5 anni Sabatino, Testarmata e Di Sano. L’attività di depistaggio sul caso Cucchi “è stata ostinata, a tratti ossessiva“, afferma il pm sviscerando in due giorni e oltre 12 ore di requisitoria, una vicenda lunga 12 anni, che parte in un momento difficilissimo per l’Arma: “Lo stesso giorno in cui muore Stefano Cucchi, quattro carabinieri vengono indagati per concussione nei confronti di Piero Marrazzo”, ricorda il magistrato, e dopo la pubblicazione delle fotografie del corpo di Stefano, in obitorio, con il volto tumefatto, “tutti chiedono la verità sulla sua morte”. Un’archiviazione non avrebbe fermato la richiesta di verità che arrivava anche dall’opinione pubblica, evidenzia Musarò, e per questo gli imputati “non hanno voluto solo depistare l’autorità giudiziaria, ma riscrivere una verità anche mediatica e politica – chiosa – riscrivere una verità per cui il politraumatizzato Stefano Cucchi era morto di suo. E incredibilmente ci sono riusciti, per 6 anni”.

L’inchiesta ruota attorno alle annotazioni redatte da due piantoni nel 2009, poco dopo la morte di Cucchi e modificate per far sparire ogni riferimento ai dolori che lamentava il giovane la notte dell’arresto, dopo il pestaggio subito in caserma.

Gli imputati, secondo la ricostruzione della procura, “hanno indirizzato scientificamente le accuse contro i tre agenti della polizia penitenziaria” imputati nel primo processo e poi assolti. Con una serie di “cortine fumogene” hanno complicato il corso della giustizia, dice Musarò, che però assicura: “Questo non è un processo all’Arma e noi vogliamo evitare qualsiasi forma di strumentalizzazione”.

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