Ormai, l'insulto, anche razziale, religioso, sessuale sembra pericolosamente sdoganato. E c'è chi, come Luca Morisi, spin doctor di Salvini che fa le prove per vedere fin dove si può alzare l'asticella dell'"indicibile". Eppure, alcuni "paletti" fanno parte della nostra cultura, della nostra identità di tolleranza e della nostra Storia antifascista

"Italiano di merda…" dice un tecnico della panchina del Burnley all'indirizzo di Maurizio Sarri; "Cattolico italiano di merda…" urla un marocchino alla stazione Termini prima di accoltellare (per fortuna non gravemente) un povero georgiano per futili motivi equivocando sulla nazionalità della vittima, ma sistemandola, nel suo immaginario, nel comparto "italiani-cattolici-stronzi". Non è da oggi che il linguaggio da strada, da piazza, da stadio, da social è scaduto, ma il punto è che in qualunque posizione sociale ci troviamo, tendiamo a non darci più limiti, a rifiutare qualunque "paletto" di linguaggio in nome della libertà di espressione.

Sia chiaro, la libertà di dire è sacra e ci sono momenti in cui è comprensibile, a volte persino doveroso, passarli. Lo abbiamo sempre fatto, lo facciamo tutti. Qui, però, sta succedendo qualcosa di peggio, di molto più preoccupante e c'è anche qualcuno, come lo spin doctor e grande comunicatore di Matteo Salvini, Luca Morisi,che fa le prove di linguaggio per vedere cosa succede se si alza l'asticella dell'indicibile, di quello che per educazione, consuetudine, radici culturali, tolleranza, ci hanno insegnato a non dire. Morisi non scherza e non si sbaglia. Fa semplicemente una prova. Scrive, in un contesto tra il serio e il meno serio "Siamo armati" (noi leghisti) e, poi, si mette a verificare le reazioni. Insorge la sinistra "rosicona" e radical chic. Insorge quel rompicoglioni di Saviano, scrive qualcosa Gad Lerner (che, oltretutto, è ebreo), ma il popolo sovrano e sovranista dei social salviniani difende il Capitano e dice che sono tutte fregnacce. Facebook, interpellato da migliaia di utenti risponde che, secondo la loro policy, la battuta di Morisi sulle armi, non travalica nessun limite. Ora, Luca Morisi sa che questa, più o meno, è passata e che la prossima potrà essere anche un po' peggiore. Per esempio, che ne dite di un bel "…negro di m…"?

Perché la questione è che tutti cresciamo e diventiamo adulti sapendo che certi insulti, certe affermazioni e l'espressione di certi pensieri che, magari, ti possono salire dalla pancia, sono tabù: semplicemente non li devi dire perché la società in cui vivi ti dice che non si fa, che la Storia ha stabilito alcuni punti fermi, che, magari, ci sono stati alcuni milioni di morti a suggellare un patto non scritto di "indicibilità". Non si insultano le persone con riferimenti razziali, sessuali o religiosi, non si dice "tua madre è una poco di buono", non si minaccia di morte il prossimo, non si insulta la Resistenza (è anche reato) e tra fascismo e antifascismo la nostra Storia ha stabilito che l'antifascismo ha ragione e il fascismo ha torto e, meno che mai, sono la stessa cosa.

Tutti limiti che vengono rotti ogni giorno nel privato di una lite domestica, stradale o da bar. Il guaio è quando la rottura diventa pubblica, diventa sfida sul social a chi la spara più grossa ("so chi sei, se ti trovo sei morto") e, soprattutto, viene utilizzata scientificamente per alzare i toni, per urlare cose che nella pancia della gente magari ci sono, ma sarebbe meglio che non uscissero in queste forme. E chi sta in posti di responsabilità: sia sportivo che artista, sia personaggio pubblico che giornalista, sia insegnante che genitore, dovrebbe fare il doppio dell'attenzione.

Perché questi (pochi) limiti, siamo noi; sono il senso stesso di una comunità che ha tanti difetti ma anche un'identità. E se non vogliamo che in giro per il mondo ci dicano tranquillamente "italiani di merda", dobbiamo, prima di tutto, rispettare noi stessi, la nostra Storia e la nostra tolleranza.

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