L'incidente probatorio sulla perizia richiesta dal gip nell'inchiesta bis
"Dopo sette anni per la prima volta in quest'aula si è fatta giustizia per mio fratello, parlando delle botte e delle lesioni conseguenti a quelle botte, e collocandole correttamente nel tempo. È stato riconosciuto dai periti che la morte è dovuta ai traumi subiti. Da quello che capisco io, da profana, la tesi della morte per epilessia non ha retto". Con queste parole Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ha lasciato il tribunale al termine dell'incidente probatorio sulla perizia richiesta dal gip nell'ambito dell'inchiesta bis sulla morte del giovane.
L'atto istruttorio potrebbe essere l'ultimo tassello prima della chiusura dell'inchiesta bis sulla morte di Stefano e la richiesta di rinvio a giudizio per i cinque carabinieri indagati. I risultati della relazione depositata dal collegio composto da Francesco Introna (Istituto di Medicina legale del Policlinico di Bari), Franco Dammacco, Cosma Andreula e Vincenzo D'Angelo sono stati discussi oggi davanti al gip Elvira Tamburelli.
Stefano Cucchi non è morto per le lesioni ma la sua è stata una "morte improvvisa ed inaspettata per epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti-epilettici", hanno scritto i responsabili della relazione. Secondo loro, "le lesioni riportate da Stefano Cucchi dopo il 15 ottobre 2009 non possono essere considerate correlabili casualmente o concasualmente, direttamente o indirettamente, anche in modo non esclusivo, con l'evento morte".
'DEMOLITA L'IPOTESI EPILESSIA'. I periti hanno comunque riconosciuto le gravi lesioni causate dal pestaggio subito dalla vittima e secondo Fabio Anselmo, legale di Ilaria Cucchi, nel corso della discussione di oggi, l'ipotesi dell'epilessia come causa di morte è stata "letteralmente demolita". "Avremo un processo per omicidio, ne sono convinto – sottolinea Anselmo – e sono soddisfattissimo dell'udienza di oggi". "La mia opinione su questa udienza fiume e che si è compiuta la teoria del colpevole a tutti i costi – dice Maria Lampitella, legale di Raffaele D'Alessandro, uno dei carabinieri indagati nell'inchiesta – e tutto per una morte che credo sia dovuta alla natura e non per fatti esterni".
I CINQUE CARABINIERI INDAGATI PER IL PESTAGGIO. Nell'inchiesta bis sono indagati Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro, Francesco Tedesco per lesioni personali aggravate e abuso d'autorità, e Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini per falsa testimonianza. Nicolardi risponde anche di false informazioni al pm. Secondo l'indagine della procura di Roma, Stefano Cucchi fu pestato dai carabinieri e ci fu una strategia scientifica per ostacolare la corretta ricostruzione dei fatti.
DALL'ARRESTO ALLA MORTE: TUTTO IN UNA SETTIMANA. Stefano Cucchi viene arrestato il 15 ottobre del 2009 in via Lemonia, a Roma, a ridosso del parco degli Acquedotti, perché sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina. Quella notte, intorno all'1:30, i carabinieri lo accompagnano a casa per perquisire la sua stanza. Non trovando altra droga lo riportano in caserma con loro e lo rinchiudono in una cella di sicurezza della caserma Appio-Claudio.
La mattina successiva, nell'udienza del processo per direttissima, Stefano ha difficoltà a camminare e parlare e mostra evidenti ematomi agli occhi e al volto che non erano presenti la sera prima. Il giudice, nonostante le condizioni di salute del giovane, convalida l'arresto e fissa una nuova udienza. Nell'attesa, Stefano Cucchi viene rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.
Le sue condizioni di salute peggiorano rapidamente e, il 17, viene trasportato all'ospedale Fatebenefratelli per essere visitato. Il referto è chiaro: lesioni ed ecchimosi alle gambe e al viso, frattura della mascella, emorragia alla vescica, lesioni al torace e due fratture alla colonna vertebrale. Viene chiesto il ricovero, ma Stefano rifiuta insistentemente e viene rimandato in carcere per poi essere ricoverato di nuovo, presso l'ospedale Sandro Pertini, dove muore il 22 ottobre. Solo a questo punto, dopo vani tentativi i suoi familiari riescono a ottenere l'autorizzazione per vederlo: il corpo pesa meno di 40 chili e presenta evidenti segni di percosse. Cominciano le indagini.
QUASI SETTE ANNI DI INDAGINI E PROCESSI. Nel gennaio 2011 vengono rinviate a giudizio 12 persone: sei medici dell'ospedale Pertini, tre infermieri dello stesso ospedale, e tre guardie carcerarie. Nel giugno del 2013 la terza corte d'assise condanna cinque medici e assolve gli altri imputati. Nel 2014, nel processo d'appello, gli imputati vengono tutti assolti, e nel dicembre del 2015 la Cassazione decide per un nuovo processo d'appello ai cinque medici, che si conclude con la sentenza di oggi.
Intanto a fine 2015, nell'ambito dell'inchiesta bis della procura di Roma sul caso, vengono indagati i cinque carabinieri.
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