Sono accusati di omicidio colposo e abbandono di persona incapace

Si è aperto oggi, davanti alla terza corte d'assise d'appello di Roma, presieduta da Vincenzo Roselli, il processo bis sulla morte di Stefano Cucchi nel quale sono imputati cinque medici dell'ospedale Sandro Pertini di Roma che secondo l'accusa avrebbero abbandonato il giovane negandogli le cure necessarie e provocandone la morte. I cinque sotto processo per omicidio colposo e abbandono di persona incapace sono Aldo Fierro, Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo. Il processo arriva dopo l'annullamento dell'assoluzione deciso dalla Cassazione nel dicembre scorso. L'udienza, dopo la relazione del giudice sulla vicenda, è stata aggiornata all'8 giugno, giorno in cui prenderanno la parola il procuratore generale Eugenio Rubolino e le parti civili. 

Stefano Cucchi è morto il 22 ottobre del 2009 all'ospedale Pertini di Roma. Era stato arrestato una settimana prima per detenzione di droga, la sera del 15 in via Lemonia, nei pressi del Parco degli Acquedotti di Roma. Nel processo che si è aperto oggi non è presente come parte civile la famiglia di Stefano Cucchi, che ha ricevuto un risarcimento di un milione e trecentomila euro dall'ospedale romano. Intanto, è ancora in corso la perizia medico-legale sul caso nell'ambito dell'inchiesta bis sulla morte del geometra romano, che vede indagati cinque carabinieri. Il nuovo incidente probatorio ha il compito di rivalutare il quadro di lesività sul corpo del giovane anche al fine di stabilire la sussistenza o meno di un nesso di causalità tra le lesioni subite a seguito del pestaggio e la sua morte.

Nell'inchiesta bis sono indagati Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro, Francesco Tedesco per lesioni personali aggravate e abuso d'autorità, e Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini per falsa testimonianza. Nicolardi risponde anche di false informazioni al pm. Secondo la nuova indagine della procura di Roma, Stefano Cucchi fu pestato dai carabinieri e ci fu una strategia scientifica per ostacolare la corretta ricostruzione dei fatti. Per gli inquirenti il pestaggio arrivò  "in un arco temporale certamente successivo alla perquisizione domiciliare eseguita presso l'abitazione dei genitori (quando Stefano stava ancora bene, come riferito dai genitori) e precedente al momento in cui l'arrestato fu tradotto presso il comando stazione carabinieri di Roma Tor Sapienza". Riguardo ai motivi che fecero scaturire l'azione dei carabinieri, la procura scrive che "il pestaggio fu originato da una condotta di resistenza posta in essere dall'arrestato al momento del fotosegnalamento presso i locali della compagnia carabinieri Roma Casilina, subito dopo la perquisizione domiciliare".

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