Di Fabio De Ponte

Roma, 27 ott. (LaPresse) – Lo studio dell’Organizzazione mondiale della sanità per molti non è stato un fulmine a ciel sereno. Uno dei libri che maggiormente hanno contribuito ad attirare l’attenzione sul tema del rapporto tra il consumo delle carni e l’insorgenza dei tumori è un volume intitolato ‘The China Study’. Un testo monumentale che riassume decenni di ricerche nel campo della nutrizione svolte da Colin Campbell, un nutrizionista della Cornell Univerirsity. E che prende le mosse dal racconto – da qui il titolo – di un lavoro durato molti anni in Cina.

Proveniente da una famiglia di allevatori e cresciuto nel classico ranch americano – e quindi con un pregiudizio positivo verso il consumo di carne – Campbell racconta di avere iniziato a occuparsi di nutrizione negli anni ’70 e di essersi dovuto arrendere nel corso degli anni all’evidenza: l’incidenza tumorale – è sostanzialmente il suo messaggio – cresce insieme al consumo di carne. Ma Campbell si spinge oltre accusando anche il latte: “Qual è – scrive nel suo libro – la proteina maggiormente responsabile del cancro, secondo rilevazioni eseguite con costanza? La caseina, che costituisce l’87% della proteine del latte vaccino, è in grado di innescare tutte le fasi del processo cancerogeno. Che tipo di proteina non ha generato il cancro, anche ad alti livelli di assunzione? Le proteine considerate sicure si sono rivelate essere quelle di origine vegetale, tra cui grano e soia”.

Insomma contesta alla radice una delle convinzioni più diffuse al mondo, cioè che il latte vaccino sia un alimento sano. Una affermazione, la sua, seguita da numeri, tabelle, cifre e correlazioni statistiche. La sua indicazione in sostanza è semplice: le proteine animali fanno male, quelle vegetali fanno bene. Campbell racconta di essere stato negli anni attaccato sia da colleghi scettici sull’influenza stessa della dieta sulla salute – iniziò le sue ricerche quando questo legame non era preso neanche in considerazione, un po’ come nell’800 il rapporto tra igiene e medicina – sia, naturalmente, dall’industria dell’allevamento. Ma, più di tutto, spiega, è stato lo scetticismo del cosiddetto buon senso quello che lo ha ostacolato, quello che non contesta il merito delle questioni, ma si limita a ridicolizzarle e a ridimensionarle senza accettare il confronto diretto (che sembra un po’ il filo rosso anche delle reazioni di queste ore al rapporto dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro). Ora l’Organizzazione mondiale della sanità gli dà ragione. Forse succederà lo stesso anche col latte.

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