Di Benedetta Dalla Rovere
Milano, 14 gen. (LaPresse) – E’ sempre lunghissima la coda davanti ai cancelli della fondazione Pane Quotidiano in viale Toscana, a pochi passi dall’università Bocconi, che ogni giorno assicura gratuitamente il cibo alle fasce più povere della popolazione. In fila, fin dalle 7 di mattina, ci sono persone provenienti da mezzo mondo. Ci sono mamme con il capo velato accompagnate da bambini di ogni età, signore pensionate avvolte in cappotti ordinati che però mostrano i segni del tempo, uomini che hanno perso il lavoro, coppie di anziani, ragazze giovani.
Quando alle 9 si aprono i cancelli il grande spazio che ospita la fondazione che da 117 anni distribuisce gratuitamente cibo a chi ne ha bisogno è invaso da centinaia di persone. A smaltire il flusso c’è Luigi: da quando è andato in pensione fa il volontario per l’associazione, conosce il nome di tutti e per tutti, specialmente le signore, ha in serbo un complimento o una battuta. Fino alle 11 chiunque si presenti può portare a casa pane, pasta, formaggio, uova, yogurt, ma anche giacconi contro il freddo, scarpe, qualche libro. Nessuno fa domande o chiede spiegazioni. “Sorella, Fratello nessuno qui ti chiederà chi sei né perché hai bisogno o quali sono le tue opinioni”, recita un cartello sopra l’ingresso dell’edificio che ospita le cucine, governate con rigore da Silvana. Le storie di chi da anni viene qui per chiedere aiuto o a fare il volontario, però, sono forti e in molti hanno voglia di raccontarsi.
Diventa subito rossa Sharon, 26 anni, esile nel suo giaccone verde. Da 7 anni cerca un lavoro vero. “Sapete se c’è qualcuno che cerca una persona per fare le pulizie o qualche anziano che ha bisogno di aiuto per fare le spesa?”, ci chiede. A casa a Rozzano ha un compagno disoccupato e un bambino di 5 anni che non vuole portare con sé a fare la coda davanti a Pane Quotidiano. “Se venisse potrei chiedere più cibo – spiega – ma non faccio come le mamme arabe che portano i bambini a prendere freddo e a vedere tutto questo”.
Esce con la sua sporta della spesa in una mano e le foto dei suoi dipinti nell’altra Francesco Ros, il pittore del Navigli, come lo hanno definito i critici. “Ho dipinto dal vero anche opere molto grandi, come una veduta di 3 metri per 5 di piazza Duomo e una dei Navigli. Ho fatto diverse personali e ho venduto molti quadri – spiega – dal 2012, però si è fermato tutto. Con la crisi non riesco a vendere le mie opere”. Mostra una foto di quando aveva 20 anni, barba lunga e sguardo fiero e un autoritratto dell’epoca. “Alla mia fidanzata piaceva la barba – spiega – negli ultimi anni sono cambiato molto, ho perso 20 chili”.
In coda c’è anche Maria, 52 anni, gli ultimi 12 passati a Milano come badante. “Da un anno non trovo più lavoro – spiega – Al centro di collocamento del comune dicono che non c’è richiesta, anche se non è vero”. Per dormire è stata costretta ad andare nel dormitorio di viale Ortles e per mangiare viene qui. Nel cuore il figlio di 25 anni che è rimasto in Ucraina, martoriata della guerra. “Non riesco a chiamarlo spesso – dice commuovendosi – è lontano, è da solo. Ho sempre paura che venga preso a combattere o peggio venga ferito”.
Abita in un dormitorio anche Andrea, 23 anni, di Brescia, occhi blu e sorriso luminoso. Da quando aveva 4 o 5 anni vive lontano da casa, tra famiglie affidatarie e comunità. A Milano ha fatto il volontario a Pane Quotidiano. Da qualche settimana, però, ha trovato lavoro come addetto alla pista di pattinaggio di piazza Lombardia, sotto il nuovo palazzo della Regione. A tutti mostra, fierissimo, la giacca blu con il logo della Regione. “Se arriva Maroni, insegno a pattinare anche a lui”, scherza. “A fine mese ci sarà una grande festa e poi per quest’anno chiudiamo”, racconta. E da febbraio? “Spero di trovare un lavoro nei palazzetti dello sport, oppure mi inventerò qualcosa”.
A tenere le fila di tutto, c’è Armando. Occhi blu e naso un po’ schiacciato, da pugile. Da giovane è stato in nazionale, ha sfiorato le Olimpiadi e ha vinto tantissimi incontri sia da dilettante sia da professionista. “Gli allenamenti – ricorda – erano durissimi, ci vuole tanta passione e si prendevano tante tante botte”. Per lui si sono aperte anche le porte di Cinecittà. “Ho recitato con Visconti in ‘Rocco e i suoi fratelli’ e ho conosciuto bene anche Alain Delon. Era uno a posto, simpatico e abbiamo fatto amicizia. Anche lui veniva dalla povertà”. Il passo successivo è stato girare un cortometraggio con Ugo Tognazzi. “Si chiamava ‘Non gettare la spugna’. Anche lì facevo la parte di un pugile sardo e mi hanno doppiato perché non sapevo fare l’accento sardo. Con Tognazzi si lavorava bene, era di Cremona come la mia famiglie e avevamo molte affinità. Avrei potuto continuare ma in testa, allora, avevo solo la boxe”.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata