Ragusa, 16 dic. (LaPresse) – “Non lo so più a chi credere, a cosa credere. Quella mattina stessa del 29 novembre, o forse la sera prima, Veronica aveva voluto premiare Loris, capito?, pre-mia-re, per il 10 preso in storia. Così gli aveva dato 2 euro per comprarsi una carta del Dragon Ball. Sapete, le figurine? Era arrivato a 99, quella sarebbe stata la sua centesima carta da collezione”. Così Davide Stival, padre del piccolo Andrea Loris, racconta la sua famiglia in un’intervista al Corriere della Sera. Quando gli chiedono se crede alla colpevolezza della moglie Veronica Stival risponde “Non lo so. Io devo credere a quello che mi dicono gli inquirenti. Se non credessi a questo sarei già andato in carcere a trovarla. Però è come se stessimo parlando di un’altra persona, è questa la verità”. “Perché Loris – continua – noi due l’abbiamo voluto con tutte le nostre forze, non è vero che nacque per caso, anzi decidemmo di metterlo al mondo proprio per andare a vivere insieme definitivamente e poiché lei era minorenne, all’epoca, andammo perfino davanti al giudice dei minori, a Catania, a cercare la garanzia che poi non ce lo togliessero, che non venisse affidato ai nonni, ma restasse con noi. E l’ottenemmo”.
Sulle immagini riprese dalle videocamere Stival commenta: “Di sicuro quella che si vede è la macchina di mia moglie, ma il resto sono ombre di difficile interpretazione. Sagome compatibili, ma non più di questo. Loris s ‘intuisce che rientri a casa, quella mattina. Ma non si vede chiaramente che è lui”. E sulle fascette, la presunta arma del delitto, spiega: “Loris ci giocava con le fascette, con una mi ricordo che un giorno legò un serpente di peluche sopra la culla di Diego che proprio oggi (ieri, ndr) ha compiuto tre anni. Veronica invece non l’ho mai vista usarle”. A Diego hanno spiegato che “Loris è in cielo perché ha preso l’aereo e la mamma invece si trova in ospedale”. Non sa ancora quando saranno i funerali ma, aggiunge Stival, “Vorremmo chiedere però a tutti i giornalisti e a tutte le televisioni di rispettare il nostro dolore e non entrare in chiesa. Per favore, lasciateci soli. In questi giorni siamo stati assediati, telecamere puntate addosso come mitragliatrici, io mi sono rotto anche un braccio per correre appresso a qualche troupe”.
Veronica non aveva mai parlato col marito dei suoi problemi psichiatrici, spiega Stival: “Solo una volta mi disse che da piccola i suoi volevano portarla dallo psicologo ma lei si rifiutò”. “Per il resto – aggiunge – in questi dieci anni di vita assieme, mai una stranezza. E guai assolutamente a chi le toccava Loris. Se capitava che io lo rimproverassi, che accennassi soltanto a dargli uno schiaffo, lei prendeva subito le sue difese. Era il cocco di mamma: dopo il telefonino, gli regalò anche il tablet e io le dicevo: Veronica, ma Loris ha bisogno anche del tablet a 8 anni?”. L’immagine che Stival delinea di Veronica è molto diversa da quella che hanno creato i media in questi giorni: “Era bravissima in casa: a noi tutti, a me e ai due bambini, non ci ha mai fatto mancare niente. Si occupava lei di tutto, pagava le bollette, le stanze sempre in ordine, i bimbi a scuola sempre pulitissimi, la spesa fatta, il pranzo pronto. Aveva imparato a cucinare da mia nonna Lucia. E se qualche sera si usciva con gli amici, per mangiarci una pizza, Loris e Diego venivano sempre con noi. Per lei i figli erano in cima a tutto. Sempre”.
Tra lui e Veronica non c’era nessun problema, “Anzi, dopo anni di sacrifici con il mio camion su e giù per l’Italia e anche all’estero, lei mi diceva che adesso, a gennaio, finite di pagare le rate della macchina, avrei potuto cercarmi un lavoro qui, in Sicilia, per stare più insieme tutti noi. Eravamo una coppia unita. Una famiglia unita”. Così unita che, con Loris, rivela il padre, “ci parlo sempre, lui comunque è ancora qui con me”. “Gli avevo comprato un go-kart, ha fatto in tempo solo a farci un giro – racconta -. Era proprio bravo, mio figlio. Pensi che si era segnato sul calendario la data del martedì successivo, il 2 dicembre, perché quello era il giorno del colloquio dei genitori con le maestre. E lui si era messo a studiare di brutto, perché ci teneva a fare bella figura davanti alla mamma”. Alla moglie, invece, preferisce non dire nulla e anche al presunto colpevole, conclude Stival, “non voglio dire niente”.
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