Di Martino Villosio
Roma, 1 ott. (LaPresse) – “Il Cern è un patrimonio dell’umanità. Se il ‘world wide web’ non fosse stato inventato qui e subito reso disponibile a tutti, oggi chiunque clicca in rete dovrebbe pagare qualcosa”. Fabiola Gianotti, 51 anni, per quattro anni a capo dell’esperimento Atlas che ha consentito la scoperta del bosone di Higgs, tra le cinque persone dell’anno nel 2012 secondo ‘Time’ grazie al ruolo occupato in quel progetto, ha varcato la soglia del laboratorio di fisica delle particelle di Ginevra quando aveva 25 anni, nel 1987. E a sessant’anni dalla nascita del Cern, lei che ha costruito una carriera indagando porzioni insondabili di realtà, pesca nella concretezza della vita di tutti i giorni l’esempio più eloquente per spiegare l’importanza e il ruolo di una struttura che non esita a definire “ancora unica al mondo”.
Perchè, dopo sessant’anni di vita e con un Europa in pieno declino, nei prossimi sessanta il Cern dovrebbe conservare la sua centralità mondiale?
“Ci sono almeno tre cose che rendono unico il Cern a livello mondiale, e che gli garantiranno una lunga vita. Parliamo di una struttura che, a livello di acceleratori disponibili, non ha pari al mondo. Di uno dei punti di riferimento internazionali per la tecnologia applicata in vari campi della società. Poi c’è un aspetto fondamentale: il Cern, nello spirito dei fondatori, ha per tradizione la missione di incoraggiare la collaborazione internazionale e l’idea e la cultura di lavorare assieme a livello mondiale non è così facile da costruire. In ogni caso la possibilità che nuovi acceleratori vengano sviluppati in Asia, precisamente in Cina e Giappone, non la vedrei come un declino dell’Europa e non penso che il Cern declinerà. Penso che le domande poste dalla fisica siano così rilevanti e gli strumenti così difficili da costruire che solo la collaborazione mondiale e una distribuzione sull’intero globo potranno permetterci di realizzarli in tempi accessibili”.
Nei prossimi sessant’anni a quali domande si cercherà di rispondere?
“Ci sono un gran numero di domande fondamentali in fisica, legate in particolare alla comprensione dell’universo, a cui oggi non sappiamo rispondere. La parte visibile dell’universo è solo il 4 per cento del contenuto di energia e di materia dell’universo stesso. Sappiamo che il 20 per cento è fatto di una forma di materia che chiamiamo oscura perchè non ne conosciamo la natura. Capirne la composizione è uno dei compiti prioritari cui il Cern e altri tipi di approccio sperimentali devono mirare. Le ricerche sull’antimateria saranno importantissime, così come cercare di comprendere come mail il bosone di Higgs sia così leggero. Tutte queste domande richiederanno molti studi e renderanno necessario combinare gli approcci sperimentali che abbiamo coltivato finora, per esempio l’acceleratore del Cern con gli studi eseguiti con i rilevatori sotterranei del Gran Sasso”.
E quali le applicazioni tecniche possibili, nel futuro, degli studi che verranno portati avanti?
“E’ molto difficile fare previsioni, ma la storia insegna che quello che abbiamo sviluppato è sempre alla frontiera della tecnologia e ha sempre trascinato l’industria e gli altri campi in questo circolo virtuoso. Io sono sicura che gli studi futuri che si faranno sui magneti superconduttori, sulle tecniche di vuoto, nel campo delle infrastrutture di calcolo, nell’ambito del software avranno un impatto sulla società andando al di là di quella che è la fisica delle particelle. Tecniche di vuoto sperimentate al Cern sono state usate per esempio per costruire pannelli solari che oggi sono usati all’areoporto di Ginevra. Abbiamo sempre verificato come le applicazioni siano state di portata molto più vasta di quello che potessimo pensare all’inizio”.
Il budget per portare avanti i nuovi studi ha subito o potrebbe subire dei tagli?
“Il budget del Cern è più o meno costante. Il problema è che per costruire un progetto molto ambizioso come quello di un nuovo acceleratore serviranno dei contributi che vanno al di là del budget, e che bisognerà in qualche modo trovare”.
L’Italia continua a giocare un ruolo importante nella ricerca del Cern?
“L’Italia ha giocato un ruolo fondamentale, Edoardo Amaldi è stato uno dei padri del Cern. Poi il nostro Paese ha contribuito a farlo diventare una realtà. Con l’Istituto di fisica nucleare continua a partecipare ai progetti e non è seconda a nessuno. Io spero che questa storia di successo continui perchè l’Italia ha una tradizione importante nella ricerca sulle particelle”.
Quindi non è vero che la ricerca italiana, anche nel campodella fisica, è in declino costante?
“Il declino è legato alla mancanza di fondi, che sono sotto la media europea, già di per sè sotto il livello di quella americana. Se non ci adegueremo continueremo a perdere ricercatori, i nostri giovani sono tra i migliori al mondo, vanno all’estero e il quando flusso di ricercatori da un Paese è solo uscente questo non è salutare. La nostra grande tradizione nella fisica durata per decenni rischia di arrestarsi”.
Quanti sono i giovani fisici italiani in fuga dalle università che incontra al Cern?
“Ne incontro molti. I giovani italiani vanno in altri Paesi, Francia e Germania, e continuano a partecipare a ricerche del Cern, ma affiliati a laboratori inglesi, francesi, americani e tedeschi. Contribuiscono allo sviluppo della ricerca di quei Paesi, contribuiscono al Cern ma dando prestigio ai Paesi che rappresentano”.
La sua carriera, senza il Cern, sarebbe stata diversa?
“Difficile dire come sarebbe stata la mia carriera se non fossi venuta al Cern molto giovane, provengo però dalla scuola italiana che mi ha formato benissimo, dal liceo all’università di Milano e all’INFN dove ottenni una borsa di studio. Questo è il laboratorio faro nel nostro campo e tutti i Paesi all’avanguardia nella fisica delle particelle come l’Italia danno un forte contributo al Cern. Io sono cresciuta in questo ambiente talmente ricco dal punto di vista scientifico e tecnologico e talmente arricchente dal punto di vista umano che mi considero una persona privilegiata. La possibilità di vivere in un ambiente frequentano da scienziati di tutto il mondo è stata una grande lezione di vita oltre che di scienza e tecnologia”.
Che cosa l’ha colpita al suo arrivo?
“Sono rimasta colpita dalla gioia di lavorare assieme di persone con diversi compiti, dai ricercatori al personale amministrativo, tutti provenienti da diverse parti del mondo e tutti animati dalla stessa passione per la ricerca”.
E quali sono invece gli aspetti da migliorare?
“Il Cern ha ruolo educativo forte, ma questo campo si può fare di più per riuscire a trasmettere alla società quello che facciamo coinvolgendo il pubblico, come avvenuto con la risposta alla scoperta del bosone di Higgs. La direzione deve essere quella di condividere con la società a tutti i livelli, non solo quello tecnologico ma anche per quanto riguarda la ricerca e l’educazione, quello che facciamo. Potenziare la divulgazione è necessario anche per attirare i giovani sempre di più verso l’attività scientifica”.
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