Di Fabio De Ponte

Bologna, 29 giu. (LaPresse) – La punta della stampante 3D si muove ritmicamente su un piccolo piatto rettangolare, rilasciando un sottile strato di plastica. Uno strato dopo l’altro, prende forma un oggetto: è una rana giocattolo. “Vedi, l’immagine tridimensionale viene scomposta e la stampante realizza uno strato alla volta, fino a comporre l’oggetto finito”. Federico Galli ha 34 anni, è un tecnico informatico, e questa stampante l’ha costruita da solo.

Siamo all’Hackmeeting, il raduno annuale delle controculture digitali, che quest’anno si è svolto a Bologna. A ospitarlo è stato l’Xm24, uno dei centri sociali storici del capoluogo emiliano. Galli ha comprato i pezzi grazie a un concorso vinto a Milano, spiega, dedicato proprio a queste macchine. Un telaio in alluminio, qualche scheda elettronica in bella vista tra led e fili appesi, una bobina di filo di plastica che termina nella spoletta che si muove sul piatto.

COME FARE UN DRONE. Poco più in là, in sala Esadecimale (le sale in questa edizione hanno il nome delle basi numeriche più usate in informatica: “binario”, “decimale”, “esadecimale”), un ragazzo mostra come realizzare un quadricottero. Ci sono diversi progetti open source, spiega, che mettono a disposizione software per gestire il flight controller, il microchip che governa i motori delle eliche. Il telaio? Basta farselo stampare da Federico. E la componentistica si ordina facilmente su internet dalla Cina.

Costo complessivo di un drone in grado di sollevare un carico di un chilo e mezzo: circa 200 euro. Ma non basteranno: “Prova, rompi, riprova, rompi, riprova, e forse il terzo ti durerà un po’”, è l’ammonizione. “Questo è quello che vi potete aspettare”, dice con un sorriso sollevando il suo gioiello.

Ecco un esempio dalla rete di drone autocostruito

LA BIBLIOTECA AUTOGESTITA. Ma non di soli esperimenti hitech vive l’Hackmeeting. Un altro seminario è tenuto da un gruppo di studenti dell’università Federico II di Napoli che presenta Colibrì, un programma scritto per gestire il catalogo di una biblioteca: “Vogliamo – spiegano i ragazzi – poter studiare senza spendere soldi per i libri di testo. Spesso i professori pretendono che all’esame ci si presenti col libro originale, e non vogliono vedere fotocopie. Così noi abbiamo pensato di mettere in comune i libri. E’ un modo per riappropriarsi del diritto allo studio”.

UN MILIARDO DI PERSONE LEGGE INTERNET IN UNA LINGUA STRANIERA. Ad allargare l’orizzonte ci pensa poi il seminario successivo: oltre un miliardo di persone nel mondo – è la denuncia – non può trovare su internet un sito scritto nella propria lingua madre. Si tratta prevalentemente di lingue africane e indiane.

OPEN DATA. Un altro seminario si occupa della questione dell’open data. Sono tante le istituzioni, anche in Italia (tra le altre la Regione Lombardia, il Comune di Torino, l’Istat, l’Inps) che mettono a disposizione i propri dati in formati standard sui quali è possibile fare ricerche incrociate. Ma sono pubblicazioni eterogenee, a macchia di leopardo, e spesso, è la denuncia, i dati più controversi, come quelli sulle consulenze esterne, spariscono.

IL BITCOIN 2.0. Ancora: spunta un economista dell’università di Bergamo che presenta un progetto per realizzare un Bitcoin rivisto e aggiornato, che eviti l’effetto deflattivo e introduca un principio redistributivo anti-accumulo: insomma una moneta virtuale più sociale e meno speculativa. Già diversi progetti pilota sono partiti in Europa: in Catalogna, Finlandia, Islanda, e anche uno a Milano.

I SOCIAL? GOVERNATI DAGLI SCIAMI. Poi è la volta del progetto collettivo Gilda 35, che studia le bolle e i corti circuiti provocati dai social network e sabota apertamente i media che vi si appoggiano mani e piedi. “Vi ricordate – spiega Renato Gabriele, uno degli attivisti – il confronto per le primarie su SkyTg24? L’hashtag di riferimento, ‘#ilconfrontopd, ebbe 54mila tweet, che facevano capo a 11mila utenti unici. Parlarono di un grande successo. Duemilacinquecento utenti erano nostri, altrettanti di qualcuno che ha fatto una cosa simile a noi. Gli utenti veri erano la metà”. E le preferenze raccolte sul sito? “Bastava – raccontano – cancellare i cookie per votare tutte le volte che si voleva. Abbiamo votato migliaia di volte. Ma siamo stati corretti, abbiamo distribuito il voto in parti uguali tra i candidati. A noi interessava solo capire i meccanismi”.

“L’hashtag ‘#vinciamonoi’ del Movimento 5 Stelle – continua – è stato utilizzato in due milioni e mezzo di tweet in tre giorni. Ma gli account a cui facevano riferimento quei tweet erano appena 14mila. Singole persone possono gestire centinaia di account contemporaneamente. Ci sono società che fanno esattamente questo lavoro. Danno supporto a politici o a brand commerciali”.

ITALICUM? NO, DEBIANUM. Stufi di Porcellum, Mattarellum, Italicum? Forse vi interesserà il sistema di votazione di Debian. A raccontare il mondo della distribuzione Linux più affermata al mondo, dall’interno è Stefano Zacchiroli, che ne è stato per tre anni project manager. “Ora sono tornato soldato semplice – dice -. Dopo un po’ bisogna passare la mano e tornare a zappare la terra”. Trentaquattro anni, insegna informatica teorica all’università a Parigi. Per prendere le decisioni, spiega, la comunità usa un sistema piuttosto peculiare. Sulla scheda (ovviamente virtuale) non si esprime una sola scelta ma una gerarchia di preferenze. Del tipo: “Tizio è il mio preferito, subito dopo viene Caio. E Sempronio proprio non lo voglio, piuttosto mi astengo”. Poi un algoritmo elabora il risultato del voto, che esprime quando di più aderente si può ottenere alla volontà collettiva della comunità. Un sistema che forse il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi dovrebbe conoscere.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata