Torino 4 giu. (LaPresse) – Quella dell’amianto è una strage silenziosa. Una strage che ha trovato voce nella lotta e nella costanza delle famiglie e degli ex operai della fabbrica della morte, quella Eternit che a Casale Monferrato sorgeva a pochi passi dal Po. Ma il disastro è tutt’altro che solo italiano, planetario si può dire. La penisola, per una volta, vanta il primato di essere avanti rispetto al resto del mondo in quanto a procedimenti giudiziari. Ci sono Paesi che lottano per riuscire a portare in tribunale i responsabili della strage, altri che si battono per far sì che l’amianto non venga più lavorato, ben consapevoli della sua pericolosità. Altri ancora che muovono i primi passi anche solo per sensibilizzare gli operai e la cittadinanza, luoghi dove si fa fatica a mangiare e una copertura in Eternit può diventare salvezza in un giorno di pioggia. In India l’amianto si lavora senza clamori, in America latina è vietato solo in Argentina, Uruguay, Cile, Honduras e alcuni Stati del Brasile. Si estrae ancora in grandissime quantità, e non senza danni, in Russia e Canada.

A testimoniare l’importanza globale del processo che si è tenuto ieri a Torino c’erano delegazioni da tutta Europa, ma anche avvocati e giornalisti, che hanno seguito da vicino lo svolgersi del processo.

Dalla Spagna è arrivato Juan Carlos Paul, che da anni si batte per condurre una lotta che nei decenni ha dovuto fare i conti con lobby importanti, non ultima quella legata alla famiglia March, titolare di una banca che possedeva quote della azienda Uralita, arrivata a gestire otto impianti di lavorazione amianto sul territorio iberico.

“Il processo Eternit – commenta Paul, rappresentante della Federazione delle associazioni vittime dell’amianto spagnole – è importante per tutti, anche per la Spagna, dove, rispetto alla situazione italiana siamo vent’anni indietro. Da noi l’amianto è stato proibito solo nel 2001, quando ha chiuso l’ultima fabbrica”.

Paul viene da Getafe, alle porte di Madrid, dove aveva sede una delle fabbriche di amianto. Nell’area, racconta, si sono registrate dall’inizio degli anni ’80 almeno 200 vittime per malattie asbesto correlate. Ma le stime per l’intera Spagna sono ben più alte. Le peggiori parlano, a partire dagli anni ’70, di 40mila vittime nell’intero Paese a causa della sostanza killer. “Il processo che si è tenuto qui a Torino – continua l’attivista – è un esempio internazionale, anche se in Spagna come altrove è ancora difficile arrivare a procedimenti penali, come invece è avvenuto qui. Tuttavia, anche da noi qualcosa si sta muovendo. La prossima settimana è attesa una sentenza del Tribunale del Lavoro per la morte di 24 lavoratori a Siviglia, dove aveva sede una fabbrica di amianto gestita dalla Uralita”.

Difficile la situazione anche in Belgio, come testimonia Eric Jonckheere, presidente dell’Abeva, l’Associazione che riunisce i familiari delle vittime dell’amianto in Belgio, giunto ieri a Torino per assistere alla sentenza Eternit. “Nel mio Paese – spiega – esistono lobby forti, che rendono difficile lottare a livello processuale. Ogni anno da noi muoiono circa 900 persone per malattie asbesto correlate”. A causa della sostanza killer Jonckheere ha perso quattro parenti stretti. Il padre, ex ingegnere nello stabilimento di Kapelle, il maggiore dei tre che lavoravano amianto in Belgio, morì nel 1987. La madre nel 2000, due fratelli nel 2003 e nel 2009.

Più drammatica ancora forse la situazione in Francia. Ieri a Torino sono arrivati in cento da diverse città, come già era successo per la sentenza di primo grado. “Troviamo molto importante l’aumento della condanna da 16 a 18 anni dell’imputato Stephan Schmidheiny. Per la giustizia francese è un impulso a fare qualcosa anche da noi”, ha commentato Pierre Pluta, presidente dell’Andeva, l’Associazione francese che si batte contro l’amianto, che riunisce 25mila iscritti. “In Francia – lancia l’allarme Pluta – contiamo dieci morti al giorno per amianto, 3.600 all’anno. E stimiamo che per i prossimi vent’anni potranno esserci altri 100mila decessi”. Anche per questo era importante esserci, per carpire una speranza, per prendere esempio, per provare a unire le forze.

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