Città del Vaticano, 14 mar. (LaPresse) – Un’elezione molto diversa da quella del 2005, quando fu lo stesso cardinal Bergoglio a fare un passo indietro (rispetto a un cospicuo numero di voti raccolti) per fare strada all’elezione di Joseph Ratzinger. Invece, uno scenario (almeno nelle prime tre votazioni) molto frammentato che escluderebbe anche la possibilità che l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, abbia raccolto addirittura oltre una quarantina di consensi. “In realtà – spiegano coloro che stanno ricostruendo le prime indiscrezioni sul Conclave che ha eletto Papa Francesco – lo stesso Scola si è portato dietro in quelle prime tre votazioni qualche voto in più degli altri, ma restando molto vicino ai suoi possibili antagonisti. Dunque, all’inizio è mancato un vero candidato forte”.

La frammentazione dei pacchetti di voti avrebbe trasformato così i prescelti non tanto in papabili veri e propri, ma in possibili popemakers e cioè in cardinali che (per propria scelta o perché consapevoli di non essere in grado di raccogliere un consenso più ampio) sono poi in grado di far nascere un’alleanza attorno a un’altro e definitivo papabile. La ricostruzione di queste ore parla di tre possibili popemakers, tutti con un piccolo pacchetto di voti tra i 10 e i 15 ciascuno: l’arcivescovo di New York Timothy Dolan, quello di San Paolo del Brasile Odilo Pedro Scherer e quello di Parigi André Vingt-Trois.

Un asse dunque molto articolato, ma che per la prima volta ha messo assieme, in un Conclave, buona parte dei prelati del Nord e del Sud America e che ha trovato in Europa una sponda non trascurabile. A questo punto, soprattutto nella pausa per il pranzo di ieri, il tentativo di aggregare questi voti avrebbe cominciato a organizzarsi attorno al nome dell’arcivescovo di Buenos Aires, un argentino ma di netta origine italiana, in grado perciò di valorizzare non solo la novità dell’asse americano, ma anche di non scontentare l’area europea e persino quel mondo italiano diviso tra i curiali legati ad Angelo Sodano e Tracisio Bertone e il gruppo (minoritario) che si era raccolta attorno a Scola, penalizzato a questo punto dalla sua vicinanza con Comunione e Liberazione.

Il nome dell’arcivescovo argentino, inoltre, poteva anche accontentare le aspettative non sopite di quei cardinali europei ‘vescovi emeriti’ (i più anziani presenti nella Cappella Sistina) che già 8 anni fa lo avevano scelto nel momento iniziale del Conclave conclusosi poi con l’elezione di Benedetto XVI. Bergoglio, infine, avrebbe ottenuto il via libera dei curiali disposti ad accettare la scelta di un Papa estraneo alla loro realtà vaticana pur di chiudere la strada all’elezione dell’arcivescovo di Milano. Determinante, inoltre, sarebbe stata la caratterizzazione del prelato di Buenos Aires, impegnato sui temi sociali e nel servizio ai poveri della terra.

Un’investitura di Bergoglio, dunque, imperniata su tre pilastri fondamentali: la rappresentanza delle Americhe e di ciò che esse significano oggi nel corpus della Chiesa mondiale, una capacità di offrire risposte anche agli episcopati europei e l’attenzione ai temi della povertà. Qualcosa che adesso i commentatori di queste ricostruzioni ancora provvisorie del Conclave riassumono sottolineando la lettura che della scelta di Papa Francesco ha fatto proprio il presidente statunitense Barack Obama sottolineando l’identità “americana” del nuovo Pontefice e al suo “amore per i poveri”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata