Città del Vaticano, 6 ott. (LaPresse/AP) – L’ex maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, è stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione. La sentenza è arrivata al termine di un’ora di camera di consiglio del collegio composto dai tre giudici Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, presidente del tribunale vaticano e rettore dell’università Lumsa, Paolo Papanti Pelletier e dal giudice aggiunto Venerando Marano.
Prima della sentenza, stamane si è tenuta in Vaticano la quarta e ultima udienza del processo, nel corso della quale lo stesso Gabriele ha avuto modo di difendersi in prima persona. “Non mi sento un ladro”, ha detto, spiegando che è stato un “amore viscerale” per la Chiesa e per il Papa a spingerlo a sottrarre la corrispondenza privata di Benedetto XVI. La sua legale aveva chiesto che il reato fosse derubricato da furto aggravato ad appropriazione indebita, richiesta ce è stata respinta. In aula era presente il padre di Gabriele.
Non è chiaro dove l’ex maggiordomo del Papa dovrà scontare la propria pena. Finora si trovava ai domiciliari, dopo aver passato due mesi in cella in Vaticano. Il Vaticano più volte fatto sapere che la eventuale condanna sarebbe stata scontata in un carcere italiano, dal momento che il Vaticano non dispone di strutture detentive adeguate a una lunga permanenza. Molti osservatori si attendono comunque che il Papa concederà il perdono, mettendo fine al problema.
Pochi i colpi di scena nel corso della settimana che ha visto alla sbarra l’ex maggiordomo del Papa, ma molti i misteri che resteranno anche dopo la sentenza. Uno di questi è il misterioso Padre B: Gabriele dice di aver dato anche a B. “fotocopia dei documenti consegnati a Nuzzi”. B. conferma di aver ricevuto tra il febbraio e il marzo del 2012 dall’imputato – senza che questi gli ponesse alcuna condizione – una raccolta di documenti – importanti in quanto attinenti alla Santa sede”. B., si legge nel provvedimento di rinvio a giudizio di Gabriele, ha poi detto: “Ho distrutto i documenti per una duplice ragione: in quanto ne conoscevo l’importanza e in quanto qualche mese prima avevamo subito un furto”.
Martedì Gabriele, prendendo la parola, ha ammesso di aver preso i documenti ma per il ‘bene del Papa’, denunciando in seguito ‘maltrattamenti’, sui quali è stata anche aperta un’inchiesta. La sua legale, Cristiana Arru, oggi in aula ha sostenuto che Gabriele ha sottratto sempre solo fotocopie e mai gli originali, mettendo in dubbio la testimonianza del segretario del Papa che parlava invece di lettere originali.
Mercoledì i giudici hanno ascoltato la testimonianza di un gendarme che si è occupato personalmente della custodia di Gabriele. Ha riferito davanti alla corte che l’imputato, quando è stato rimesso in libertà, ha ringraziato personalmente del trattamento. I quattro gendarmi che fecero la perquisizione lo scorso 23 maggio in casa dell’ex maggiordomo, Stefano De Santis, Silvano Carli, Luca Cintia e Luca Bassetti, hanno confermato di aver trovato nell’appartamento un migliaio di documenti utili all’inchiesta: molti erano del Papa ed riportavano la scritta in tedesco “da distruggere”.
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