Taranto, 12 ago. (LaPresse) – Ancora un colpo di scena nell’intricata vicenda dell’Ilva di Taranto. Dopo l’ordinanza di venerdì nella quale il gip di Taranto, Patrizia Todisco, stabiliva chiaramente le competenze del presidente dell’Ilva Bruno Ferrante e interpretava la sentenza del riesame parlando dello stop della produzione, ne è arrivata un’altra che revoca la nomina dello stesso Ferrante. Il giudice cita il comunicato stampa nel quale il presidente dell’Ilva esprime la decisione di impugnare il provvedimento di venerdì e spiega che questo rende “manifesta l’incompatibilità del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore dello stabilimento Ilva di Taranto con l’ufficio di pubblico custode e amministratore delle aree e degli impianti dello stesso stabilimento sottoposti a sequestro preventivo”. Un “palese conflitto di interessi”, che spinge il gip a revocare la nomina di Ferrante “quale custode e amministratore dei beni sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito del procedimento penale”. Inoltre stabilisce che il nuovo amministratore deve essere Mario Tagarelli, la cui nomina era invece stata revocata dal riesame.
L’azienda, però, non ci sta. “E’ un provvedimento insostenibile che nei fatti, bloccando la produzione, può portare alla chiusura dello stabilimento”, afferma, in una intervista a La Stampa, il presidente dell’Ilva. “Gli avvocati stanno già lavorando per presentare un’impugnativa urgente al riesame. Quello del gip – spiega Ferrante – è un provvedimento che ci penalizza moltissimo, che ridimensiona e marginalizza il mio ruolo di custode giudiziario riducendolo a datore di lavoro e a responsabile dell’attuazione dell’Aia e che può mettere in ginocchio tutta Taranto”. Il presidente dell’Ilva sottolinea che il gip “ha interpretato una sentenza del riesame senza aspettare le sue motivazioni. Ripeto, non mi risulta che i giudici abbiano scritto che l’Ilva non debba più produrre, in questa fase. Anche perché fatico a credere che bloccando l’acciaieria, la messa in sicurezza degli impianti venga garantita”. Difficile, ma sempre più realistico, parlare di licenziamenti. “Quella parola non voglio neppure pronunciarla. Il gruppo dirigente dell’Ilva – conclude Ferrante – pur amareggiato perché Emilio Riva è ancora privato della sua libertà, trovandosi agli arresti domiciliari, è convinto di voler andare avanti. Consapevole di aver sbagliato, in passato, a non dialogare con la procura di Taranto, siamo pronti alla collaborazione con le istituzioni. Ma se ci bloccano la produzione, la prospettiva si complica non solo per i quasi 12.000 dipendenti diretti ma anche per tutto l’indotto”.
Preoccupazione espressa anche dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. “Bloccare la produzione vuol dire chiudere lo stabilimento, c’è poco da dire, e io francamente non la trovo la scelta migliore”, spiega in una intervista al Corriere della Sera. “Quando si dice blocchiamo la produzione bisogna assumersene la responsabilità”, aggiunge il ministro che sottolinea di riferirsi non solo ai lavoratori dell’Ilva ma anche degli impianti che in Italia utilizzano le sue produzioni. “Se chiudiamo la produzione chi fornirà l’acciaio per l’economia italiana? Chi ci guadagna? L’Italia ci perde mentre alla finestra mi pare già di vedere i tanti competitori europei, per non parlare dei cinesi, che ne trarrebbero di sicuro un grande vantaggio”, afferma ancora il ministro che esprime anche perplessità perché l’emergenza ambientale “non si affronta con la carta da bollo o mettendo un custode giudiziario davanti ai cancelli di un impianto chiuso”. E conclude: “il risanamento degli impianti industriali va fatto da chi li conosce, altrimenti sui compie un altro dei capolavori della burocrazia italiana che affida compiti in materie specifiche a esperti non sempre troppo esperti”.
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