Un progetto articolato con quattro priorità imprescindibili: ecco il piano dell'ad per far rinascere il club
C'era una volta il Milan di Mr. Li con pochissime certezze dai contorni indefiniti, così indefiniti da svanire in capo a una lunga vicenda di estenuanti tira-e-molla finanziari. C'è adesso il 'New Milan' di Ivan Gazidis, perché è stato proprio l'amministratore delegato sudafricano a definirlo in questo modo nel corso di un lungo incontro nella sede del Portello, una round table con il presidente Paolo Scaroni e Giorgio Furlani, l'uomo di fiducia del fondo Elliott. Il 'New Milan' avrà basi solide, un progetto articolato senza una 'timeline', con quattro priorità imprescindibili: la rifondazione del club, la costruzione di un nuovo stadio assieme ai cugini dell'Inter, la crescita commerciale e infine quello che è stato definito "football landscape", ovvero il riposizionamento all'interno del calcio, dalla Uefa all'Eca.
Quattro punti sui quali lavorerà con metodo british Gazidis, che racconta il passato con molto trasporto (dal papà incarcerato perché contro l'apartheid fino alla migrazione in Inghilterra) e che non ha paura di aggredire il presente, che viene dall'esperienza di nove anni all'Arsenal e dalla mission negli States, che è matematico nell'approccio e incline alle grandi sfide. L'ultima, quella rossonera, lo ha indotto a sfilarsi dalla comfort zone della Premier per venire a vincere in Italia. Chiacchierando a casa Milan (rigorosamente in inglese) non ha quasi mai parlato di sogni ma spesso ha usato la parola "proud", ovvero orgoglio, come leva per riconsegnare il Milan alla dimensione che gli spetta. To be proud, esser orgogliosi del presente nella stessa misura in cui i tifosi lo sono del passato. I tempi? Chi ha fretta conviene che si adegui.
Più ancora della squadra e dei risultati sportivi, la costruzione dello stadio sarà determinante. Se San Siro è "iconico", il nuovo impianto dovrà essere "il più bello del mondo", sempre pieno e all'avanguardia. Milan e Inter lo costruiranno insieme, a breve l'amministrazione cittadina stabilirà la localizzazione e verranno presentati i progetti. Gazidis ha costruito impianti negli Stati Uniti e all'Arsenal, insomma ne sa abbastanza: l'idea – per la verità non proprio inedita – è di farne un contenitore per famiglie. Lo stadio è la pietra sulla quale il Milan organizzerà il suo rilancio, senza stadio sono grane.
Detto male, il modello è quello della Juventus, da capitalizzare con la forza del brand rossonero nei paesi orientali. Il progetto di Elliott non ha la data di scadenza stampigliata sul retro come i contenitori del latte, l'idea è di portare avanti un programma ambizioso, con investimenti sulle strutture, nel settore giovanile, sull'area commerciale. Furlani, in nome e per conto del fondo statunitense, ha garantito la stabilità dell'operazione, specificando che il progetto non ha una tempistica ma degli obiettivi. Però è fondamentale restare con i piedi per terra. Il Milan, in buona sostanza, non potrà permettersi un Cristiano Ronaldo. La chiave sono i "local boy" cari a Gazidis, il simbolo è Paolo Maldini. Liofilizzando il concetto: largo ai ragazzi che vengono dal settore giovanile, dal centro Vismara, i campioni saranno fatti in casa. Del resto è la strada imboccata nel 2009 dall'Arsenal, che non aveva la potenza finanziaria di United, City e Chelsea però è sempre stato sulla cresta dell'onda. Ma ci vorrà pazienza. Dice Gazidis, il saggio: fa nulla essere impopolari tra la gente, contano i risultati.
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