Roma, 22 giu. (LaPresse) – Tatuaggi e piercing sono sempre più di moda, ma aumentano il rischio di infezioni e danni al fegato tra i giovanissimi. A stabilirlo è una ricerca condotta dall’università di Roma Tor Vergata, che su 2500 studenti liceali, coinvolti con questionario anonimo, ha rilevato come il 24% di essi abbia avuto complicanze infettive. Solo il 17% ha firmato un consenso informato e il 54% è sicuro della sterilità degli strumenti che sono stati utilizzati. “Una volta esclusi i tossicodipendenti dall’analisi – speiga Carla Di Stefano, autrice dell’indagine e ricercatrice all’università di Tor Vergata – si può stimare che chi si sottopone a un tatuaggio ha un rischio 3,4 volte più alto di contrarre l’epatite C rispetto a chi non ci si sottopone. Per quanto riguarda il piercing, il rischio di contarrre l’epatite C è 2,7 volte maggiore rispetto a chi non se lo fa applicare”.

RISCHIO DI CONTRARRE EPATITE -. Scopo della ricerca è quello di informare gli adolescenti che sottoporsi a piercing e tatuaggi in locali non certificati senza rispetto delle norme igieniche, per non parlare di pratiche fai da te con strumenti artigianali inadeguati, possono essere veicoli di trasmissione di malattie infettive. Il rischio è di contrarre epatite B e C, e il virus dell’Aids, che possono anche causare la morte. Inoltre l’inoculazione nella cute di sostanze chimiche non controllate può portare a reazioni indesiderate di tipo tossicologico o di sensibilizzazione allergica.

MANCA L’INFORMAZIONE -. “Se l’80% dei ragazzi ha affermato di essere a conoscenza dei rischi d’infezione, solo il 5% è informato correttamente sulle malattie che possono essere trasmesse”, spiega Di Stefano. Questo nonostante il fatto che “il 27% del campione ha dichiarato di avere almeno un piercing, il 20% sfoggia un tatuaggio e sono ancora di più gli ‘aspiranti’: il 20% degli intervistati ha dichiarato l’intenzione di farsi un piercing e il 32% di ornare la pelle con un tatuaggio”. In questi giorni molti studiosi hanno puntato i riflettori sulla ricerca ‘Association of tattooing and hepatitis C virus infection: a multicenter case control study’, pubblicato sulla rivista Hepatology, dove si dimostra come l’infezione da Hcv – responsabile dell’epatite C – principalmente si trasmetta attraverso il riutilizzo di aghi monouso, materiali non sterilizzati e il riutilizzo d’inchiostro contaminato con sangue infetto.

“L’EPATITE E’ INFIAMMAZIONE” SPIEGA L’ESPERTA –. L’epatite virale, spiega l’esperta, è un’infiammazione del fegato causata dall’infezione, silente o sintomatica, da parte di alcuni virus tipici del tessuto epatico ma solo alcuni di essi possono stabilirsi nell’organismo in modo persistente, causando danni cronici al fegato. Nella forma acuta, la malattia si manifesta con disturbi di tipo influenzale, spesso asintomatico, mentre nella sua forma cronica l’infiammazione permanente del tessuto epatico è dovuta all’incapacità del sistema immunitario di eliminare il virus epatitico. Nella metà circa dei pazienti l’infezione cronica causa lesioni progressive del fegato e una parte di questi pazienti può sviluppare la cirrosi. L’Italia detiene la maglia nera rispetto alla media europea, che si aggira tra lo 0,1 e l’1% della popolazione, con un tasso d’incidenza variabile tra il 2-3% e 1 milione 200mila persone affette dal virus in forma cronica. Sempre nel nostro Paese, la cirrosi è la quinta causa di morte con circa quindicimila decessi l’anno e oltre seimila sono i pazienti che muoiono per carcinoma del fegato.

“Il dato scientificamente più interessante”, commenta Di Stefano, “sta nei tempi di sopravvivenza del virus rilevati negli aghi e nell’inchiostro, variabile da pochi giorni nell’ambiente a quasi un mese nell’anestetico”. Per tatuaggi e piercing, spiega Vincenzo Bruzzese, presidente nazionale del congresso della Sigr dove è stata presentata la ricerca, “non ci sono casistiche da procedure effettuate in studi professionali ma il rischio aumenta quando tali procedure vengono eseguite da principianti, in strutture con scarse condizioni igieniche e sterilità degli strumenti o con strumenti improvvisati – corde di chitarra, graffette o aghi da cucito – ma anche nelle carceri o in situazioni non regolate come l’ambiente domestico”. Il problema è stato più volte evidenziato in Italia fin dagli anni Novanta, ma recentemente è stato stimato che nel nostro Paese una quota di casi di epatite C acuta superiore al 10% è attribuibile ai trattamenti estetici. Dai dati dei ricercatori italiani presentati al secondo congresso nazionale Sigr emerge quindi la necessità di un maggiore sforzo per incoraggiare l’utilizzo di materiale monouso e la corretta sterilizzazione degli strumenti, aumentandone il monitoraggio. Ad esempio informare con continuità che il far ricorso a strutture temporanee, come quelle che compaiono durante i mesi estivi nelle località balneari, aumenta il rischio di contagio perché si tratta di situazioni svincolate dai normali controlli, e promuovere interventi di educazione alla salute già nella scuola secondaria di primo grado.

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